lunedì 28 agosto 2017

Gabriella Santuari Ricerca del mistero

Si inaugura sabato 22 luglio 2017, alle ore 18.30 presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta SPINEA, nell’ambito del progetto PARADISUM THEATRUM – Il Volto, l’Anima e lo Specchio personale dell’artista Gabriella Santuari, a cura di Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani con la collaborazione di Erika Argiolas. Testo critico a cura di Barbara Codogno.

La mostra, visitabile fino a domenica 6 agosto 2017, è organizzata da cittadellarte con il patrocinio del Comune di SPINEA (VE);

La mostra di Gabriella Santuari presenterà al pubblico una selezione di lavori recenti centrati sul tema IL VOLTO, L’ANIMA E LO SPECCHIO.

Scrive l’artista Gabriella Santuari riguardo al suo lavoro: …”Una chiesa sconsacrata, vuota, continua a trasmettere nel tempo il senso della sua sacralità originaria e, se si riempie di persone, anche quello di comunione  sociale. Ciò si percepisce ancora di più quando vi si ospita una mostra d'arte: durante l'inaugurazione si riunisce una ”Ekklesia”, una comunità, “coloro che son convocati”, e piano piano si sviluppa una fertile partecipazione che porta all'accumulo e condivisione di una forte energia positiva. Se si visita la mostra in solitudine, vi si può respirare una forte spiritualità, una comunione intima: in chi sa mettersi in discussione l' ”io“ nascosto, che per lo più é in contrasto con l'altro “io” esteriore, vibra sulle corde dell'armonia. Infatti, se l'artista  esprime bene le proprie emozioni attraverso l'arte e l'osservatore entra in empatia,  quest'ultimo arriva a riconoscere anche le proprie inquietudini, ad  accettarle, arricchendo così la propria interiorità. A questo serve l'arte. Come diceva G.B.Shaw. “ Si usa lo specchio per guardarsi il volto, si usa l'arte per guardarsi l'anima”; osando di più, ... per curarsi l'anima….”

Nel solco di una tradizione poetica quanto mai nitida e che senz'altro si dipana a partire da quelle  riflessioni che animarono anche la ricerca di Giosetta Fioroni, Gabriella Santuari propone al pubblico una serie di opere digitali, sulle quali poi interviene pittoricamente, aventi come principale soggetto il volto femminile.
A dire il vero Santuari, nonostante le svariate sperimentazioni e le molteplici incursioni anche in altri ambiti di senso, ha da sempre avvicinato l'anima femminile attraverso la priorità del volto. Questi volti, impressi su tele di grande formato, ed eseguiti con taglio fotografico e forte impatto cromatico, riverberano misteriosi paesaggi intimi, emotivi e psicologici. 
“Nei lavori di Santuari la luce è componente determinante e preponderante – spiega Codogno – tanto da ricordare il mito di Diana e Atteone: era mezzogiorno, momento di massima luce, quando Atteone fu accecato dal palesarsi della Dea, e poi trascinato nelle tenebre della trasmutazione”.
I volti di Santuari sono cesellati da una luce talvolta opaca, talvolta opalescente; momenti di rara perfezione stilistica e poetica.
Non è un caso che Santuari associ il volto all'anima e allo specchio: “Si pensi all'etimologia stessa di pupilla – spiega ancora Codogno – che deriva da pupa, ossia l'immagine ridotta di me stesso che vedo riflessa in quello specchio che sono gli occhi dell'altro”. Lo specchio è inoltre a fondamento dell'auto-rappresentazione del sé nella storia della nostra civiltà, come ci suggeriscono gli antichi greci.
Completa la mostra un'installazione composta da alcuni specchi disposti in terra e che riflettono alcuni aforismi scritti a rovescio sul fondo di scatole specchianti appese al soffitto. Il pubblico, per cercare di decodificare il messaggio, dovrà specchiarsi a propria volta, unendo così immagine e parola; divenendo progetto di senso attraverso al testimonianza del proprio io allo specchio. Anche le scatole saranno specchianti, per aumentare la luminosità e accentuare i riflessi che derivano dalla luce esterna.
                                                                      Barbara Codogno

Gabriella Santuari nasce a Trento, ma trascorre i suoi primi vent’anni a Milano. Poi si trasferisce a Padova, dove tuttora risiede. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Ca’ Foscari di Venezia, si è sempre dedicata all’arte, spaziando tra stili diversi e utilizzando tecniche e materiali di ogni genere. Negli ultimi anni l’artista si è orientata verso una ricerca pittorica personale con risvolti di forte incidenza sociale, muovendo da un motivo concettuale di stretta attualità: il rapporto tra l’uomo contemporaneo e le seduzioni commerciali. Utilizza in vari modi, per le sue creazioni, contenitori in cartone di prodotti alimentari freschi, secchi o surgelati per opporsi, in modo poetico, alla violenza di quel settore della pubblicità che entra subdolamente nelle case attraverso il cibo. Per l’interesse suscitato dalla sua ricerca nel 2007 è stata invitata alla Biennale di Venezia, nella mostra collaterale PPP. Dal 1998 partecipa a numerose mostre nazionali e internazionali, sia presso gallerie d’arte e Istituti italiani di cultura all’estero, dove continua ad ottenere lusinghieri riconoscimenti.










wish&wash John Doing e Fraçois Bonjour


John Doing e François Bonjour danno vita a Venezia 
a “wish &wash” una doppia personale 
a cura di Adolfina De Stefani in collaborazione con Erika Argiolas
allestita negli spazi espositivi della Galleria “cittadellarte” in San Marco 1958, Calle de la Fenice VENEZIA

La mostra a ingresso libero sarà visitabile dall'1 al 30 settembre, dal mercoledì alla domenica, dalle 15.30 alle 20.00. 
L'inaugurazione, con introduzione critica di Barbara Codogno, si terrà il 9 settembre alle ore 19.00.


Scrive Barbara Codogno nel suo saggio critico che titola “Un Reliquario e un Manoscritto Miniato”:

“Il titolo giocoso di questa mostra non deve trarre in inganno lo spettatore; lo sciabordio sonoro che evoca “wish & wash” - così come sarebbe nella sua corretta traduzione ( brodaglia ) se non fosse per quell'& a interromperne il senso – rimanda a un'operazione concettuale che ha colti rimandi letterari, oltre che artistici.
A una prima lettura delle opere, infatti, potremo anche avvicinarci intuitivamente alla corrente del ready made, tanto più che Doing quanto Bonjour partono da oggetti intercettati nel presente per le loro riflessioni artistiche ( pagine di libri, garze, reti, etc ). Ma non è tanto il materiale a essere la chiave di volta per una lettura del profondo di questi artisti, piuttosto il pensiero che ha animato il loro agire. John Doing nutre grande attenzione – quasi bulimica – per le immagini. Le colleziona, le estrapola dai dipinti, le ritaglia, le conserva come reliquie, poi le rimescola e alla fine le rianima grazie alla video art. Nascono così video pop surreali. Lo stesso per la sua collezione di “feticci”: sono silhouette create con reti, filo, garze. Rimandano alle statuine vudù, il cui significato religioso, antico e profondo è legato a un corpus di dottrine sociali, oltre che di una complessa cosmologia. In Doing è chiaro ed evidente, anche nella complessità delle sue ceramiche, il processo di “disgregazione e ricomposizione”. Le immagini che ritaglia si fondono insieme per crearne una nuova. Di fronte a una miriade di immagini che non lasciano traccia, le nuove immagini di Doing escono dal loro vuoto di senso e ci ritornano indietro, cariche di significato. L'operazione condotta da Doing non può non farci pensare al nouveau roman. La corrente letteraria rifiutava il personaggio (che per Doing è l'immagine) per focalizzarsi su quelle caratteristiche della realtà che esulano dalla soggettività umana. La “scuola dello sguardo” presupponeva una fissità fotografica. Così per Doing: l'immagine è tolta dal suo contesto e ricreata per distoglierci dal suo contesto e riportarne a galla l'autenticità. Che, ovviamente, è purezza d'artificio.


Per Bonjour il processo di ricostruzione semantica avviene su corde più esplicitamente severe, quasi rigorose. Poche le concessioni alla bizzarria stilistica, piuttosto un continuum di intenti e materiali nel segno di una “ri – Scrittura” del Verbo. Bonjour propone infatti una riflessione sulla parola. A partire da pagine di vecchi libri, sulle quali l'autore interviene innestando materiali, praticando cesure, bruciature, l'opera si ricompone all'insegna di una nuova verità che emerge, anche in questo caso, da un poetico accumulare e trasformare oggetti scomposti, prima distrutti e poi riassemblati. Inevitabile il confronto con Fernandez Arman, anche se per Arman la
critica era forse più politica, mentre è evidente in Bonjour un'elevazione mistica, giacché in questa sua particolarissima pittura è sempre la Sacra Scrittura il demone del confronto, il rimando colto par excellence. Senza indugio potremo affermare che le opere pittoriche di Bonjour appartengono al suo personalissimo Manoscritto Miniato. Storicamente il manoscritto miniato, ovvero un manoscritto illustrato, è stato sempre considerato un... dipinto. Traslando il senso nel contemporaneo, il manoscritto miniato diventa il personale racconto dell'artista che su carta stampata inserisce, sovrascrive, la sua precipua scrittura, fatta talora di sigilli che trattengono segreti codici. La decodificazione letterale non è la direzione per interpretarne il senso, piuttosto è nella commistione e stratificazione che l'opera d'arte trova la sua compiutezza, consapevolmente, magnificamente estetica”.


Note biografiche:

John Doing è un viaggiatore. A 20 anni compie il primo viaggio in estremo oriente, Giappone, Cina, Oceania e Stati Uniti D’America. Entra così in contatto e approfondisce la conoscenza delle culture di quei mondi. La sua è una sorta di formazione continua nel campo dell’arte: porta sempre con sé gli acquerelli e riempie fogli di impressioni e riflessioni. L’aereo diventa l’ufficio, l’atelier. Dal 2007 si appassiona all’informatica e intensifica il suo lavoro sui collage digitali, animazioni e video, dedicandosi anche alla ceramica Raku e all’arte povera. Scrive poesie e racconti e vive fra Lugano, Berlino e Milano.

François Bonjour è nato a Cham ( Zugo) il 29 agosto 1948, ma è originario di Lignères (Neuchâtel),dopo il liceo artistico di Torino,si diploma presso la CSIA di Lugano in Arti decorative e poi in Architettura d'interni.Presente nel Catalogo degli artisti contemporanei svizzeri dal 1981 ed è membro attivo di Visarte. Vive e lavora a Dino/Ticino.
Esposizioni personali e collettive in Musei e Gallerie in Svizzera e all'estero,come pure opere in Musei e collezioni pubbliche e private in Svizzera e all'estero.

Da anni attiva nella compagine dell’arte contemporanea sia come artista che come curatrice, Adolfina De Stefani, coadiuvata dall’Associazione Culturale “cittadellarte” ha intrapreso una nuova importante avventura che direziona il raggio del suo intervento organizzativo e creativo nel cuore di Venezia. Da aprile a novembre, seguendo il calendario della Biennale d’Arte di Venezia, proporrà al pubblico una serie di ricognizioni artistiche riunite sotto l’egida delle mirabilia della Wunderkammer


In Galleria oltre alle personali di Doing e Bonjour anche opere di Francesca Lunardo, Anja Mattila-Tolvanen, Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani, Augustina Perez Pellegrini, Andrea Tagliapietra.


Francesca Lunardo
Mi chiamo Francesca, vivo a Venezia e amo la ceramica, perché mi riequilibra con me stessa. Ma alla fine è il calore del forno che deciderà il mio operato fondendo colori al mio tocco affondato sulla creta. Le mie maestre mi hanno
insegnato, oltre alle tecniche di ceramica, l'armonia delle forme, la cura per la precisione, l'amore per il bel fare e il rispetto delle mie capacità.
Nata a San Donà di Piave (VE). Nel 2000 si iscrive al corso di ceramica con insegnante Loretta Noturno presso il laboratorio scuola di Treviso, successivamente alla scuola di ceramica di Cadoneghe (Padova) con la professoressa Gabriella Ruzzante. Questa esperienza le fa acquisire padronanza della materia e le permette di trasferire in essa tutta la sua carica espressiva.


Anja Mattila-Tolvanen

Anja nelle opere presenti in galleria ha cercato di riprendere quelle piccole cose

che sono spesso impercettibili ma che fanno della vita una continua avventura. Riflessi, luci, ombre, spesso opposti e complementari le une agli altri in una ricerca continua di rapporto con la natura e con la spiritualità ad essa connessa. Per l’artista non è tanto importante ciò che rappresenta ma che significato hanno e cosa comunicano.
Anja Mattila-Tolvanen, pittrice, fotografa e poeta finlandese, ha al suo attivo diverse mostre personali realizzate tra il 2009 e il 2011 a Pälkäne e a Kangasala e, in Italia, a Gheroartè a Corsico in spazi espositivi pubblici e privati. Negli stessi luoghi ha partecipato a simposi internazionali d’arte organizzati da European Cultural Foundation.


Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani

Il sodalizio tra i due performer e artisti contemporanei Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani nasce nel 2000 ed è caratterizzato da una sorta di nomadismo operativo che li vede impegnati in una esplorazione parallela nei numerosi percorsi dell’espressione artistica. Apprezzati esponenti nello scenario della cultura artistica sia in Italia che all’estero,la loro espressione si articola attraverso la performance, l’installazione e la ricerca multimediale, con particolare attenzione alle tematiche attuali. Emergono con estrema chiarezza le azioni di carattere universale con l’intento di favorire l’incontro del grande pubblico con i linguaggi contemporanei.


Augustina Perez Pellegrini

Nelle sue produzioni cerca di trovare un equilibrio contrapposto alla frenesia e agli eccessi della vita contemporanea. In quest’opera un filo conduttore-continuo rappresenta l’equilibrio che viene spezzato creando due realtà parallele che ricercano l’armonia perduta. Nata a Buenos Aires, alimenta la sua passione per l’arte tessile e la lavorazione artigianale dei tessuti fin da piccola. Formatasi al Centro Argentino di Studi di Moda, si trasferisce a Madrid, dove inizia a collaborare con le realtà di disegno indipendente della città. Partecipa attivamente al movimento di Mail Art.



Andrea Tagliapietra

Il suo lavoro si sviluppa sull’indagare di ciò che l’essere umano porta dentro. Percepire e mettere in evidenza il disagio spesso nascosto dietro la formale apparenza; lo spettro dell’esteriorità, l’inappartenenza all’involucro-corpo, o ad una vita che ha una taglia diversa, troppo grande o troppo piccola, in cui non ci si sente a proprio agio. L’artista sostiene che il rapporto che può esistere con lo spettatore consiste nel metterlo davanti ad uno specchio in cui può ritrovare una parte di sé, delle analogie debitamente celate. Osservare per osservarsi.

wish&wash 
John Doing e Francois Bonjour


VEDERE ATTRAVERSO di Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani

Continua il ciclo di mostre d'arte contemporanea all'interno dell'Oratorio di Santa Maria Assunta (già luogo del cuore del FAI, Fondo Ambiente Italiano) recentemente restaurato. 
Uno spazio che il Comune di Spinea (Venezia) ha affidato a due curatrici, Adolfina De Stefani e Luciana Zabarella, per una valorizzazione all'insegna dell'arte e della cultura. 
Sabato 12 agosto alle 18.30 inaugura la bi- personale degli artisti Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani dal titolo “ Vedere Attraverso” a cura di Luciana Zabarella con presentazione critica di Barbara Codogno.

La mostra, a ingresso libero, sarà visitabile fino al 27 agosto dal mercoledì al venerdì 16.00 – 20.00, sabato e domenica 10.30 – 13.00 | 16.00 – 20.00.
“L'Oratorio è genius loci perfetto per ospitare questa doppia esposizione, che possiamo leggere come un continuo rimando al doppio, e al suo scavalcamento.
Genius loci come entità naturale e soprannaturale, legata a un luogo e a un oggetto di culto. Un luogo che per i romani pagani andava precisato nel suo carattere di indefinito sessuale:
sive mas sive foemina (che sia maschio o che sia femmina), non solo perché non se ne doveva riconosce il genere, e perché nel luogo sacro si aveva fusione di maschile e femminile. Il doppio diventava Uno.
Così come l'uno diventa due. Perché due sono gli artisti, Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani. Due figure che giganteggiano all'interno del panorama dell'arte contemporanea nazionale. Non solo per la loro febbrile attività di curatori, galleristi, organizzatori, soprattutto per la produzione artistica che li porta continuamente a esplorare nuovi linguaggi, usando e abusando di materiali diversissimi.
L'esposizione titola “Vedere Attraverso”; e se già lo sguardo è doppio, in quanto due sono gli artisti, i loro occhi riverberano lo sguardo, lo moltiplicano, scrutando a vicenda la reciproca interiorità. Come a dire che uno non vede senza l'altro. O meglio: che l'uno non può vedersi senza l'altro.
Alla duplice visione, con l'occhio che come un caleidoscopio mistico distorce e allucina la visione, i due artisti aggiungono la trasparenza del materiale principe usato per questa esposizione.
Siamo in un Oratorio dedicato alla Madre del Cristo; luogo della preghiera che a partire dalla Controriforma Cattolica diventa come un'appendice - staccata e personale- dal corpo della Chiesa. Luogo separato, più intimo, personale, dove eleggere a referente della propria preghiera non più il Padre ma talvolta un Santo, molto spesso la Madre.
Nella Chiesa si celebra il rituale liturgico, la grande macchina teatrale della Santa Messa, dell'Eucarestia, della Cerimonia della nascita e della morte del Figlio. Nell'Oratorio c'è la preghiera nascosta, individuale, liberata dalla ritualità.
La preghiera ha bisogno di luce per essere vista: si prega accendendo una candela.
E la candela è fatta di cera. Un materiale millenario, che l'uomo ha preso dalle api e impiegato sin dall'antichità per attività le più diverse; usato dagli egizi tanto per impermeabilizzare le navi come per imbalsamare le mummie.
Un materiale duttile e trasparente in grado di trattenere, come l'ambra, talvolta piccoli insetti, particelle di pulviscolo, piume.
In questo luogo privato e sacro, i due artisti lavorano con il materiale della preghiera, riempiendone le piccole edicole, le fessure, gli spazi concavi e segreti delle mura sacre con quote di cera da cui spuntano dettagli anatomici. Sono porzioni di corpo: mani, dita, piedi. I loro.
Nel luogo dove il corpo di Cristo si fa Eucaristia per onorare il sacrificio imposto da questa religione dell'anima, il corpo degli artisti si fa unica statua di cera che celebra la commistione pagana e mistica dei due.
Ecco allora che “vedere attraverso” l'immanenza del corpo diventa una grande metafora dell'arte, e dell'amore. Perché il corpo è transitorio, ma se noi lo santifichiamo attraverso il gesto creativo dell'arte ( non è quello che ha fatto dio? ) allora il corpo supera se stesso. Diventa eterno, sacro.
Rispetto al corpo, i due artisti propongono una riflessione anche sul suo essere luogo di centralità, di verità. Sappiamo tutti come la vista sia stato uno degli argomenti cardini affrontato da Aristotele nella trattazione della “Metafisica”. Per il grande filosofo greco la vista era il senso più importante, in grado di farci conoscere meglio il mondo. Per Aristotele il fenomeno della visione era reso possibile dalla presenza del diaphanes, ossia di un elemento diafano e trasparente, che funge da mezzo intermedio, la luce.
Ma come apparirà la visione se gli occhi sono velati di cera?
L'esposizione “Vedere Attraverso” ci propone anche cinque immagini in bianco e nero che raffigurano degli occhi; sono immagini fotografiche ingrandite e ritoccate alle quali è stato sovrapposto un leggero strato di cera.
Immagini massimamente poetiche e piene di riferimenti colti. L'occhio velato di lacrime, l'occhio che Buuel spalanca e deflora, l'occhio della Statua di marmo che noi immaginiamo con timore possa animarci, come ci ricorda Galatea.
Vedere attraverso comporta allora la pulizia dell'occhio dal peso di un velo che offusca la realtà. 
Quel velo di cui parlava il filosofo Schopenhauer, che ci impedisce di cogliere il mondo com'è, perché noi vediamo il mondo come lo desideriamo. La nostra volontà ci porta a creare il mondo attraverso il nostro desiderio e a non guardarlo nella sua verità.
Sorge allora la domanda: sappiamo elevarci dal corpo - che poi è metafora di una realtà bassa, contingente, volgare - sappiamo superare, vedere attraverso, questo velo di ombre ed elevarci?
Ecco che l'opera realizzata dai due artisti con il neon di luce bianca ci dà la risposta. L'opera titola “Leggere l'Infinito”. E sembra proprio che all'interno di questo luogo privato e sacro, grazie all'arte che nasce dal corpo, i due artisti abbiano voluto condurci alla visione dell'infinito.
Durante il vernissage, i due artisti, celebri performer, realizzeranno una loro performance dal titolo: “Omaggio alla Donna” con la poesia di Pier Paolo Pasolini “Supplica a mia Madre”. In un Oratorio dedicato alla Madre del Cristo, luogo in cui si esplora il sacro, il corpo, l'infinito e il vedere attraverso per raggiungere la verità, la presenza della Madre, anche quella terrena, è presenza che nel darci la vita ci traghetta verso la conoscenza. Importante renderle omaggio.
Il sodalizio tra i due performer e artisti contemporanei Adolfina De Stefani e Antonello Mantovani nasce nel 2000 ed è caratterizzato da una sorta di nomadismo operativo che li vede impegnati in una esplorazione parallela nei numerosi percorsi dell’espressione artistica. Apprezzati esponenti nello scenario della cultura artistica sia in Italia che all’estero, la loro espressione si articola attraverso la performance, l’installazione e la ricerca multimediale, con particolare attenzione alle tematiche attuali. Emergono con estrema chiarezza le azioni di carattere universale con l’intento di favorire l’incontro del grande pubblico con i linguaggi contemporanei. 
VEDERE ATTRAVERSO 2017
cera, immagine fotografica su acetato, liquido trasparente 40x40cm
di
Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani

L'ATTESA 2017
calco di cera d'api e piume bianche 150x150cm
di
Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani


giovedì 24 agosto 2017

Giovanni Oscar Urso Linea di galleggiamento

Giovanni Oscar Urso
Linea di galleggiamento
testo critico a cura di Gaetano Salerno
“Je est un autre” Arthur Rimbaud (La lettera del Veggente, 1871)
Scrive il critico d’arte Gaetano Salerno del progetto Linea di galleggiamento: “Affrontare le nostre paure, accettare i nostri limiti, svestire le nostre incertezze come i nostri corpi dalle corazze degli abiti e liberare il limite fisico dalle barriere convenzionali per mostrarsi, privati delle sovrastrutture che inibiscono il rapporto (con se stessi e con l’altro da sé). Questo, in sintesi, il senso dell’azione artistica Linea di galleggiamento messa in atto da Giovanni Oscar Urso, progetto in fieri che riassume atto performativo, azione teatrale, indagine scientifica, poesia concettuale e si ripropone di rendere visibile un dato invisibile, di dare forma a uno stato mentale che nella vita quotidiana di ciascun individuo esiste sommerso e determina punti di vista, atteggiamenti, sensazioni, umori, comportamenti sociali.
La linea di galleggiamento è una marcata linea colorata che l’artista individua nei soggetti coinvolti nell’esperimento - posti frontalmente di fronte all’obiettivo della sua macchina fotografica per essere ritratti a figura intera e in scala reale - con la quale evidenzia, sulla pelle dei loro corpi nudi e ieratici, il personale livello teorico di benessere o malessere psico-fisico.
Prendere coscienza della sua esistenza diviene perciò il primo fondamentale passaggio per leggere la propria condizione, accettare la propria situazione ed eventualmente porvi rimedio, innescando, guidati dall’artista, processi auto- risolutivi e percorsi apotropaici orientati a una guarigione dell’animo.
Antropologia, sociologia, metapsicologia, ontologia si sommano così a formare una psicoterapia dell’essere che traduce in immagini veridiche (un campionario cioè di concrete evidenze) la leggera sostanza dell’anima, fornendo materia altrettanto concreta alla componente immateriale dello spirito.
Il progetto è in divenire; ogni inaugurazione arricchisce il corpus espositivo con nuovi lavori fotografici, tanti quanti gli individui presenti che accettano l’invito dell’artista a vivere attivamente l’evento performativo, divenendone parte e offrendo spontaneamente un campionario, variabile, dinamico e potenzialmente infinito, di personali stati dell’animo, allegoriche condizioni esistenziali, storie umane scritte nei segni, nelle rughe, nelle imperfezioni delle loro epidermidi offerte al pubblico come superficie testuale da decodificare.
Il breve e preliminare colloquio privato sostenuto con l’artista e la compilazione di schede (poste sotto forma di domande-stimolo) attraverso le quali riflettere sulla propria esistenza e valutare la propria percezione del sé in relazione alle questioni poste, forniscono lo spunto maieutico di auto-analisi che consente all’artista di

determinare il livello presunto di ciascuna personale linea di galleggiamento; i risultati relativi a ciascuna scheda rimangono comunque segreti, conosciuti solo alla persona coinvolta, la cui riflessione è intima, privata, inviolabile.
L’artista rifiuta il ruolo di demiurgo onnisciente, piuttosto diviene strumento meccanico - tanto quanto l’obiettivo fotografico che conferisce corpo al risultato finale - funzionale alle intime riflessioni individuali; a lui il compito di visualizzare il livello di galleggiamento e renderlo evidente, scevro da intromissioni critiche o coinvolgimenti emotivi. Impedendo così la nascita di transfert psicologici durante l’intero iter performativo viene garantita l’assoluta e necessaria oggettività all’esperimento sociale, limitando inoltre il rischio che il risultato finale possa risultare falsato o inficiato da uno scambio emozionale tra artista e pubblico.
La linea di galleggiamento, intesa come abilità resiliente dell’individuo di contrastare le avversità della vita, di non essere travolto dalle onde delle avversità, diventa così un tratto demarcato, evidente, dissonante; un segmento colorato, rosso o turchese, determinato e determinante che si staglia nitidamente sugli incarnati dei corpi, taglia netta la figura in due parti, individuando un sopra e un sotto, sancendo quanto spazio vitale ci rimane prima di immergersi in quel metaforico annegamento (“avere l’acqua alla gola” dice l’artista) al quale la società contemporanea, caratterizzata da malesseri e frustrazioni collettive, non sembra in grado di opporsi, priva di strategie di sopravvivenza efficaci e risolutive.
Emerge uno spaccato preciso di un patto sociale condiviso; ciascun individuo, seppur isolato dal gruppo dei pari e costretto dalle modalità esecutive del progetto ad una innaturale e coatta solitudine, è simultaneamente posto di fronte al giudizio fotografico e al giudizio del proprio gruppo di appartenenza (dal quale egli stesso proviene), divenendo soggetto e oggetto di un’indagine che vive, al di là delle variabili performative [...]”
a cura di :
Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani testo critico a cura di : Gaetano Salerno

Inaugurazione sabato 1 luglio 2017 ore 18:30
apertura e orari dal mercoledì al venerdì 16.00 – 20.00 sabato e domenica 10.30 – 13.00 | 16:00 -20.00 Ingresso libero
www.cittadellarte.org
Via Rossignago | SPINEA -Venezia
LINEA DI GALLEGGIAMENTO di Giovanni Oscar Urso
zabluci@libero.it + 39 335 6933177 adolfinadestefani@gmail.com + 39 349 8682155
Oratorio di Santa Maria Assunta 

Like the Bee Gathering Honey di Chiara Tubia

L’arte di Chiara Tubia: una lettura
Nei variegati e complessi aspetti dell’arte di Chiara Tubia, è possibile rintracciare, in modo quanto mai eclettico e originale, sia alcuni interessanti aspetti dell’ascesi e della spiritualità, sia il tentativo di liberarsi dal peso e dagli ostacoli derivanti dalle sovrastrutture sociali e storiche che rendono difficile la riscoperta della propria essenza interiore, e quindi della spiritualità macroco- smica del princìpio metafisico alla quale è collegata. In una zona intermedia tra questi due opposti poli si dispiega tutta l’arte di Chiara, e propriamente come tensione liberatrice e movimento asceti- co di purezza. È vero che tutte le innumerevoli situazioni ed esperienze della vita ci segnano fino a condizionare la formazione della nostra identità, ma è anche vero che ogni individualità è chiamata a ripulire continuamente queste “croste di inautenticità” al fine di riscoprire e di mantenere integra la propria essenza. Ecco dunque che le tensioni e gli antagonismi sono qui superati e risolti in un’interessante armonia che solo può essere indice di un tratto di elevatezza e di spiritualità, per quanto elementare e riduttivo esso possa inizialmente apparire.
Ma sarebbe assai riduttivo leggere queste forme espressive come un troppo facile e imme- diato tentativo di rifiutare le forme di un mondo ritenuto inautentico e fenomenicamente troppo de- clinato sulle “apparenze”, rigettando queste ultime nel sintagma filosofico della «negazione». In realtà, così come l’ape raccoglie il miele da tanti fiori diversi, e in tal modo si arricchisce, così il saggio - o chiunque aspiri ad esserlo - trae arricchimento dalle mille forme essenziali in cui si mani- festa l’intero creato. Ne discende il caleidoscopico succedersi di innumerevoli forme derivanti da elementi antropologici, culturali, estetici, religiosi, e il conseguente tentativo di utilizzarli come «ponti» e vie per accedere ad una dimensione “altra”, che sta “dietro” e “oltre”, ma senza escluder- le. Ogni vera «essenza», infatti, è contenuta in ogni elemento visibile, e si trova quindi ovunque. Il processo che qui si mette in moto è una modulazione, una trasformazione, un dipanarsi nelle forme del mondo, e attraverso di esse. Va da sé che queste modalità processuali mettano spontaneamente in atto un meccanismo di ricerca, il dubbio della domanda - ermeneuticamente sempre aperta - che suscita nello spettatore. Quella domanda di senso che da sempre ha animato la posizione dell’uomo nel cosmo e che ha dato il via alla cultura, al suo senso, alla filosofia, e all’arte.
Questa spinta liberatrice non può più essere dunque «fuga», né tantomeno negazione. Essa deve essere vista piuttosto come movimento di ricerca e riappropriazione della propria e più vera essenza interiore. Nelle culture orientali è assai noto il princìpio secondo cui conoscere, innalzarsi spiritualmente e purificarsi sono un tutt’uno. Conoscenza e prassi diventano un unico processo. Non è possibile pertanto vedere queste istanze in modo separato.
Il senso d’infinito che contraddistingue la metafisica orientale (l’artista ha soggiornato a lungo in India) può essere rintracciato in questo tipo di arte proprio attraverso quella percezione dei tratti essenziali di ogni autentica metafisica orientale: l’essenza, la sintesi, l’unità, l’interiorità, la stabilità, il silenzio, la beatitudine, l’eternità1. E poiché qui si sta parlando di una dimensione che sta al di sopra della ragione (sovra-razionale e intuitiva), il convenzionale linguaggio umano non può più essere adatto ad esprimere queste dimensioni. Ed ecco allora l’esplicarsi dell’arte e nell’arte, con tutte le sue forme e tutte le sue modalità. Infatti, tanto l’anima interiore quanto l’intero universo non si manifestano soltanto sul piano razionale, ma anche, appunto, su quello infra-razionale e so- vra-razionale: c’è il manifestato ma anche il non manifestato; c’è il formale ma anche l’informale. L’esplicabilità di questi livelli irrazionali, assolutamente impossibile mediante il linguaggio delle
1 Su questi temi, sui tratti della spiritualità e della metafisica, da un lato, e sui tratti materialistici e dissolutivi della mo- dernità, dall’altro, si veda il mio studio Uno sguardo dall’alto - La perdita della “qualità” nell’Occidente moderno se- condo René Guénon, Aracne, Roma, 2015 (il medesimo testo è edito anche da E.A.I - Edizioni Accademiche Italiane, Berlino, 2017).
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parole, trova nell’arte una forma quanto mai interessante di espressione, e così pure il fruitore di queste opere potrà ritrovarsi e riscoprirsi in esse.
La dimensione temporale - da sempre simbolo di errore, peccato e imperfezione - è qui supe- rata mediante la rappresentazione di alcuni frammenti presi da complesse simbologie culturali, e in parte re-inventati in chiave artistica. Si può così comprendere l’evidente rinvio alla dimensione me- tafisica, espressa mediante una sorta di “fluire leggero”, di “mutazione” e di “innalzamento”. Nel confuso mondo del rumore e della velocità, la calma, la leggerezza e il silenzio interiore diventano - anziché reazione - ri-scoperta e affermazione della dimensione più vera e autentica della propria «essenza interiore». Le mille forme di alienazione e di smarrimento che sempre la eclissano vengo- no qui modulate, re-interpretate, traslate, in un infinito gioco di rimandi e di rinvii, fino a giungere al richiamo di quel verbo che, in quanto eterno, sa di essere immortale. È soltanto da questa angola- tura di senso che si può riscoprire la possibilità di un’efficace ricostruzione del senso più vero delle cose. Poiché non vi può essere tramonto né morte alcuna per un verbo che sa di essere eterno. E ciò che sembra rimanere, alla fine, è soltanto la domanda sul modo e sui modi con i quali è possibile accedere ad esso.
Dario Roman 

“REBOOT - Visioni di un Futuro Passato”, personale dell’artista Franz Chi


Si inaugura sabato 20 maggio 2017, alle ore 18.30, presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta, Spinea (Ve), nell'ambito del progetto PARADISUM THEATRUM, “REBOOT - Visioni di un Futuro Passato”, personale dell’artista Franz Chi, a cura di Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani, con la presentazione critica di Massimiliano Sabbion.
La mostra, visitabile fino a domenica 4 giugno 2017, è organizzata da Città dell’Arte con il patrocinio del Comune di Spinea - Assessorato alla Cultura.
Tutto ciò che è presente però non sarà mai scordato, la storia sedimenta, insegna e resta come monito di ciò che si è stato.
È da qui, da questo punto focale fatto di rimandi storici e di proiezioni future, di qualcosa che ha il fascino dell'impossibile e dell'incredibile che parte l'opera di Franz Chi, nelle sue opere c'è la proiezione di una bellezza universale che ha l'armonia e l'eleganza dei volti e dei corpi muliebri, simbolo di vita, dove sopravvivono continui cambiamenti e mutazioni che si sono innestati nel corso dei secoli fino ad arrivare ad un mondo contemporaneo che guarda oltre lo sguardo e si propaga verso quel futuro che non si conosce, ma si crea, si teme e si ricerca.

Le sculture di Franz Chi fanno convivere busti e volti umani dal sapore cyberpunk dove sono reinventati esseri straordinari, combinazioni tra uomini e macchine che assumono immagini ricche di suggestioni che rappresentano l'odierna società che non si arrende al concetto di morte, di vecchiaia, di tempo.
Nelle sue opere l'artista proietta mondi fantascientifici, memore del suo sentore onnivoro fatto di studio e di ricerca tra film, fumetti, letteratura, fusi con il sentire contemporaneo, dove l'uomo si rende partecipe di una illusoria immortalità riuscendo a "sconfiggere" in maniera illusoria la morte stessa, il tempo e la paura di invecchiare: arti sostituiti da innesti e nuovi organi vitali, protesi e arti artificiali, tutto per rincorrere l'illusione della vita eterna. Reboot, riavvio, ricominciare e ripartire rivedendo il passato e proiettandosi quindi verso il futuro, ricreare dall'inizio quindi la propria storia con personaggi noti e sequenze nuove, con un tempo nuovo che segua in questo modo una riscrittura di un istante e di un evento ex novo.
Le sculture presentate allo spettatore sono un momento di passaggio e di riflessione sulla storia, con le icone dell'arte riconoscibili e riconducibili alla memoria, le opere diventano in questo modo il pretesto per guardare la società odierna e sono esse stesse la rappresentazione del tempo e della caducità dell’uomo.
Strutture naturali modificate dal tempo, innestate da meccanismi e pezzi di macchine industriali che si intersecano diventando una sola cosa con il corpo iniziale, pensieri che si uniscono alle forme primarie, anime che si accarezzano con la speranza consapevole di essere parte di un processo in fase di cambiamento, tutto proiettato verso una visione spazio-temporale, una visione di un futuro passato. 

IL LENZUOLO - Percepire l’incertezza, la volontà del credere di Luca Maria Mari

Si inaugura sabato 29 aprile 2017, alle ore 18.30, presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta di SPINEA (VE), PARADISUM THEATRUMIL LENZUOLO – Percepire l’incertezza, la volontà del credere, personale dell’artista Luca Maria Marin, a cura di Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani.

La mostra, visitabile fino a domenica 14 maggio 2017, è organizzata da cittadellarte con il patrocinio del Comune di SPINEA – Assessorato alla Cultura.

La mostra IL LENZUOLO – Percepire l’incertezza, la volontà del credere, secondo appuntamento del progetto PARADISUM THEATRUM presenterà al pubblico una selezione di lavori di Luca Maria Marin, per tracciare l’ultimo percorso di ricerca condotto dall’artista.

Scrive l’artista e poeta Luca Maria Marin
“Dentro a te troverai quello che cerchi, perché l'immagine impavida del desiderio si avvolge attorno alle nostre costole, stringendo l'anima.
Senti il lino, assapora la fragranza della rosa, rincorri la brezza che asciuga il sudore delle vesti, entra nel sentimento del bianco candore maturo della vita.

Mi incammino su questa strada e sono sicuro che troverò la via, impervie e sconnessa piena di rovi e spine incontrerò li nel mezzo del guado anche la paura.
Paura di vita incontrata molte volte nel passato e molte volte allontanata. Ora e la con me
che mi arriva addosso, non più vissuta inconsapevolmente, ora portatrice di messaggio.

Voglio guarire e guarirò.
Stringo a me quel lembo gualcito, fatto di dolore, lacrime, morte e tanta vita.

In verità vi dico, allontana il tuo cuore dalle trame dell'uomo ricco avvicina a te il sudore del lenzuolo dal profumo di rosa aprirai il cuore alla dimensione dell'io e del noi innamorandoti della vita.

Sono, a questo punto del cammino, arrivato molto vicino a sentire la musica giusta e soave del vero, potendo ora e per sempre percepire con chiarezza la vibrazione della luce bianca che insegna.
Adesso sono qui e ovunque, trovo te e tutto il mondo nel segno di luce”.

Le opere di Marin non sono propriamente "quadri" quanto piuttosto strutture animate di colore, dense di inviti al dialogo a alla riflessione, sulla necessità di un recupero della consapevolezza dell'essere.
Vi è maestra infatti dei suoi lavori, la consapevolezza di esistere nel contesto esterno a noi, di cogliere appieno la realtà, allontanandosi dai condizionamenti e dalle false letture della percezione che noi abbiamo del fuori.
La sua Arte" che filtra e prende da tutto questo per cercare di completare il suo percorso di ricerca, prima del suo essere, poi dell'universo..." ,come ricerca di autenticità dell'essere "persone" in un sociale da non trascurare.

Occuparsi dei materiali di scarto, riabilitarli a nuovo senso, che andrà ad arricchire il nostro sapere per mezzo dell'arte, è anche un occuparsi delle idee, quelle che gravitano nella mente e nutrono l'immaginazione, legando il passato al presente, "avanzi delle nostre vite" da riutilizzare e ricomporre, meglio se con parole nuove, anch'esse in cerca del loro proprio senso: una ricerca autentica quindi, di un uomo di quest'epoca, che lo inquadra in un contesto storico ampio ma preciso.
La tendenza dell'uomo alla trascendenza, può insinuare un confronto tra natura e cultura, tra materia e spirito, che facilmente porterebbe ad una forzata tendenza al moralismo, a favore quindi dello spirituale, e di acuire cosi il dualismo del pensare, mentre invece l'artista Luca Maria Marin riafferma la necessità di originare la ricerca nella direzione che vuole ricondurre il pensiero ad unità, perlomeno quanto a origine:
L'arte pittorica, e ancor meglio la concettuale, come più sopra si diceva della scrittura, può dire se stessa, seppure a piccoli tratteggi, briciole di discorsi, che tuttavia aprono pagine nuove, su panorami inattesi, Dove " ...per fissare un punto, una piccola cosa nel mare della verità, scopriamo infinite variabili"...
Il rischio allora, da un punto di vista strettamente filosofico,(dove filosofia=qualunque attività tesa a carpire le categorie e gli schemi del pensare), è l'eccesso, nell'aprire ipotesi, congetture del possibile, quando non sia invece nel distribuire dubbi al banchetto della conoscenza, che non si nutre di risposte certe...
Credo stia qui il senso artistico, poetico, di Luca Maria Marin, nel decifrare la lettura con al stessa meraviglia, timore forse, che sosteneva i primi filosofi, quelli degli arbori. Sana ingenuità dello spirito, che si tramuta in composte immagini, che non sono "quadri" ma piuttosto "strutture animiche" e non meno a/nemiche, "corpi amici", se vogliamo giocare con il linguaggio.... che poi "tentano", e ritentano l'accattivante sfida di dare un nome alle cose, a quello che esiste già, nel mito perduto, e anche a quel che non esisterebbe, se non ce ne occupassimo.

Luca Maria Marin è poeta in quanto testimone e tramite di una sensibilità senza tempo, lucidamente partecipe e fautore del ritorno al senso di meraviglia che muove alla conoscenza.
Vive e lavora a Santa Maria di Sala, graziosa località lungo il graticolato Romano. Luca Maria Marin ( 1964) ha compiuto gli studi artistici a Venezia, che è stata e rimane tuttora luogo di ispirazione e materia stessa di molte sue composizioni. Ancora giovane intraprende l'attività di decoratore e dipintore e ben presto la padronanza delle tecniche, la confidenza con vari materiali, gli consentono di collaborare con architetti di prestigio. Soggiorna all'estero, a Basilea, Zurigo, Ginevra, Vienna, Parigi, le grandi mitteleuropee che sono preziose "maestre" di vita, per coglierne il Genius. 
Nel frattempo dipinge e sperimenta, la frequentazione dei più importanti musei e gallerie d'Arte rappresenterà una generosa fonte di formazione che contribuisce tuttora a cementare la sua vera identità artistica. Nel 1997 si stabilisce vicino a Padova, dove "inizia", ad elaborare i suoi lavori e nel 2009, lo vediamo presente in mostre personali e collettive

In occasione della vernice della mostra LENZUOLO - Percepire l’incertezza, la volontà del credere di sabato 29 aprile 2017 ore 18.30, Luca Maria Marin sarà presente all’Oratorio di Santa Maria Assunta dove sarà accompagnato dalle sue poetiche lette dall’artista Maria Novella dei Carraresi.