martedì 16 maggio 2017

CONSAPEVOLI ILLUSIONI


Con il patrocinio del Comune di SPINEA Assessorato alla cultura



nell’ambito del progetto 
PARADISUM THEATRUM




8-25 aprile 2017
inaugurazione
sabato 8 aprile 2017 ore 18.30
testo critico a cura di Gaetano Salerno
oratorio
Santa Maria Assunta via Rossignago SPINEA- Venezia





CONSAPEVOLI ILLUSIONI di Fabrizio Vatta
a cura di Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani

Si inaugura sabato 8 aprile 2017, alle ore 18.30, presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta di SPINEA, PARADISUM THEATRUM Consapevoli Illusioni, personale dell’artista veneziano Fabrizio Vatta, a cura di Luciana Zabarella e Adolfina De Stefani con la presentazione critica a cura di Gaetano Salerno.
La mostra, visitabile fino a martedì 25 aprile 2017, è organizzata da Città dell’Arte con il patrocinio del Comune di SPINEA – Assessorato alla Cultura.
La mostra CONSAPEVOLI ILLUSIONI presenterà al pubblico una selezione critica di lavori di Fabrizio Vatta, opere di medie e grandi dimensioni, per tracciare l’ultimo percorso di ricerca condotto dall’artista.
La pittura di Fabrizio Vatta, dice il critico d’arte Gaetano Salerno, trasporta sulla tela figure in cerca di approdo, prigioniere di fitte trame psicologiche, rasentano solitudini estreme in questi palcoscenici realisti e tragici in cui la decostruzione del mondo concorre alla costruzione dell’incertezza; i personaggi protagonisti di queste storie si offrono inermi agli sguardi, in attesa di un giudizio che sembra piombare implacabile su volti e su corpi scherniti dalla luce radente nei primi e primissimi piani e stagliati sui campi lunghi delle diagonali che, per contrapposizione, avvicinano l’illogico al concreto eliminando le distorsioni percettive.
Scrive Gaetano Salerno nel testo critico della mostra Consapevoli Illusioni:
Una quotidiana lotta per la sopravvivenza, tra Uomo e Natura, finalizzata alla ricerca di spazi
pittorici ed esistenziali - di convivenza, a potenziali forme di coesistenza e di conciliazione.
Questo raccontano i lavori di Fabrizio Vatta, la personalissima weltanschauung di un artista il cui segno, sempre violento e sferzante, racchiude e traduce in immagini il potenziale energetico delle forze titaniche schierate in campo, visualizza l’iperbolico cinetismo della battaglia, riassume le antitesi delle rispettive essenze che originano lo scontro: il pensiero logico e razionale dell’Uomo che pondera e misura e l’indole imponderabile e inafferrabile della Natura che invece distrugge e disorienta.
La ricerca oppone infatti sulla tela due sistemi cognitivi; un confronto diretto tra elementi costruttivi e distruttivi che, nella metaforica decostruzione del testo pittorico, evoca le utopie e le difficoltà di un lungo processo adattativo simbiotico; rinunciando alla definizione descrittiva per uniformare, con la sostanza cromatica, un’azione che non giace in attesa ma costantemente diviene, l’artista mantiene inalterata la perdurante tensione alla definizione - mai raggiunta, mai completa - di ciascun elemento biologico in rapporto biunivoco con altri elementi antitetici che concorre sia ad alimentare le disarmonie di un Universo metamorfico, sia a determinare relazioni sulle quali è tuttavia basato il principio dell’esistere stesso, cioè la costante trasformazione della materia.
Le frequenze cromatiche dei freddi verdi e dei blu della Natura determinano infatti le esasperate e monotone gamme degli sfondi di questi lavori, i grandi palcoscenici di elementi fitomorfi ai quali la figura umana si subordina; e nei quali è tuttavia sempre e caparbiamente presente, segnata da repentine e fugaci opposizioni tonali d’incarnati rosei e caldi affioranti, per contrasto, da spazi vuoti e privi di punti prospettici di riferimento, nel tentativo di recupero di una centralità compositiva e gerarchica strutturale dell’individuo perduta.
La mutabilità della Natura aggredisce così le masse umane - a loro volta divenute inafferrabili, annientate da un moto impietoso del pennello e dello straccio che sottrae la certezza del contorno disperdendone l’essenza attraverso numerosi strati di colore, caotici e grevi, trascinando visi e corpi entro l’aria e la luce e oltre la forma, lasciando gocciolare copioso dalle loro epidermidi il pigmento come sudore e sangue - ricomposte solo parzialmente da successive e risolutive pennellate con le quali l’artista ricompatta un ordine sommario ormai disperso, nel quale l’umanità può solamente annichilirsi, sopraffatta dall’ indeterminatezza di ambienti troppo vasti per essere compresi.
L’uomo dunque entra, senza volto e senza storia, in questi spazi alieni dei quali diviene simbolica emanazione; l’io s’inserisce e si fonde nel tutto, scavando gradualmente percorsi nelle crepe del magma cromatico per poi riempirli di toni ora complementari ora antagonisti, operando una programmata e strategica simbiosi con esso, quasi a voler contrattare una pacifica tregua.
E visualizzando così un pensiero di Blaise Pascal, secondo il quale l’uomo è un “nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla”; nella graduale perdita d’identità del singolo, nella rinuncia all’antropocentrismo di questi costrutti pittorici, emerge lo smarrimento sociale di una cultura generazionale, il malaise existentiel proprio della contemporaneità che ha costretto l’individuo ad annullarsi nell’anonimato della moltitudine.
La pittura di Fabrizio Vatta non ambisce tuttavia, travalicate le superficiali immediatezze, a realizzare un’opera di natura quanto piuttosto a costruire un’opera perfetta, in cui l’insieme appare ancora correggibile e ogni dettaglio, apparentemente casuale, svela i prodromi della perfettibilità; nel repentino passaggio dal bello al sublime richiama, esasperandoli, codici linguistici protoromantici e diviene paradigmatica di un perdurante stato dell’essere, sconvolto da tempeste dell’animo mai definitivamente placate, empaticamente evidenti, percepibili per sinestesia.
Pur muovendo dunque da una fittizia analisi del reale il lavoro di Fabrizio Vatta determina invece una trasposizione emotiva dal verosimile al vero (probabilmente dovuta anche al dato autobiografico, al ricorso alle memorie dei propri vissuti, sempre maggiormente presenti nelle ultime produzioni), una destrutturazione dell’individuo fisico che rinuncia alle proprie certezze ricalcando, con la propria natura, lo sconvolgimento dell’ambiente circostante, la demistificazione cioè di un progetto cognitivo divino diffuso che origina, anche nella res extensa, una concezione panteistica e sprona l’uomo a riacquisire consapevolezza del proprio ruolo, a ridivenire parte del flusso vitale che questa pittura vuole visualizzare.
Un principio intuitivo di rimando goethiano governa così questa indagine che realizza una commistione tra elementi consonanti e dissonanti della Natura, una totalità vivente e creatrice per indurre una forma immediata e autonoma della conoscenza, per risvegliare uno stato appagante della condizione umana data dall’illusione consapevole della propria esistenza fisica, della propria valenza estetica, delle proprie possibilità intellettuali; il principio di autodeterminazione che, seppur in un mondo irrazionale, ridiscute gli ordini morali ed etici imposti, incomprensibili e incommensurabili.
E dove anche ciascun tentativo di dominio da parte dell’uomo delle forze naturali, endogene o esogene, è puramente illusorio, un’ambizione consapevole sempre presente seppur irrealizzabile.
Eppure la Natura resta l’unico elemento di paragone nel quale specchiare, intuire e riconoscere le nostre mutevoli essenze, l’interlocutore primario per discutere la nostra marcia antropica, il progetto pensato che consente alla coscienza di manifestarsi, all’uomo di demarcare la propria presenza, anche sfocatamente, come quando questi scenari pittorici assistono all’incontro di carne e membra che incrociano altre carni e altre membra esprimendo, nell’attimo che allude alla finitezza temporale della natura, il dato infinito e spirituale dell’essere umano.
Gaetano Salerno

Fabrizio Vatta nasce nel 1956 a Mestre dove vive e lavora. Nel 1974 frequenta la Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia con il Maestro Luigi Tito e Luciano Zarotti. Nel 1979 si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Emilio Vedova.
Inizia l’attività espositiva nei primi anni ‘80 dopo uno studio assiduo della pittura antica.

Partecipa a sette edizioni della collettiva annuale presso la Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia conseguendo due volte il premio acquisto. A metà degli anni ’80 dipinge tele di grandi dimensioni, il tema è il ritratto spingendo la sua ricerca verso una pittura fortemente realistica forzando i tratti fisiognomici dei volti attraverso una profonda analisi introspettiva .
Nel 1986 espone a Sidney in una importante rassegna di giovani artisti veneziani.
Nei primi anni ’90 frequenta l’ambiente artistico veneziano ed entra in contatto con galleristi storici come Renato Cardazzo della Galleria il Naviglio e Luciano Ravagnan che apprezzano i suoi lavori e lo spronano a continuare la sua ricerca seguendo il proprio istinto al di là delle mode del momento; abbandona in seguito i modelli stilistici ai quali si era avvicinato come la pop-art, l’iperrealismo, l’amore dichiarato per Francis Bacon, si delinea un linguaggio più autonomo e personale di matrice espressionista difficilmente etichettabile perché rifugge da mode e stili precisi, collocandosi a metà strada tra la grande tradizione pittorica del passato e le istanze pressanti e contraddittorie che caratterizzano il nostro tempo.
Sue opere sono presenti in numerosi Sedi pubbliche e Collezioni private a Venezia, Padova, Verona, Bologna, Milano, Brescia, Mantova, Napoli, Parigi, Vienna ,Barcellona, Monaco. Nel 2014 è invitato ad esporre nella prestigiosa sede dell’Elbschloss Residenz ad Amburgo una selezione di opere recenti.




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Oratorio di Santa Maria Assunta Via Rossignago SPINEA - Venezia