lunedì 15 settembre 2014

Masayuki Koorida Sette sculture da camera

Comunicato stampa
3D GALLERY

 extraMOENIA project
elements of architecture

in concomitanza con la 14. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia

presenta       
                                      
Masayuki Koorida
Sette sculture da camera

a cura di
Adolfina De Stefani e Gaetano Salerno
presentazione critica a cura di Gaetano Salerno

con la collaborazione di
Karin Reisovà
AREACREATIVA42
sabato 20 settembre 2014, ore 19.00
Nuovo appuntamento presso la 3D Gallery di Venezia Mestre con la seconda parte della rassegna extraMOENIA, progetto di ricerca ideato e curato da Adolfina De Stefani e Gaetano Salerno, in collaborazione con Mismomatic, Segnoperenne, focalizzato sull’indagine e sulla documentazione del rapporto tra arte e vita, tra finzione e realtà, tra artista e spazio interno/ spazio esterno della galleria.

extraMOENIA, dopo le sette esposizioni personali realizzate nel periodo compreso tra dicembre 2013 e maggio 2014, ha inaugurato nel mese di giugno una seconda fase di ricerca, per costruire un ponte ideale con la 14^ Mostra di Architettura di Venezia e in relazione alla quale i curatori della galleria hanno strutturato un percorso di ricerca, da svilupparsi fino alla fine del 2014, che vedrà protagonisti un numero consistente di artisti in dialogo tra loro e con i temi proposti e dibattuti dall’importante appuntamento veneziano.

Il titolo Fundamentals, scelto dal curatore Rem Koolhaas per l’edizione 2014 e Elements of Architecture, rassegna ospitata presso gli spazi del Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, esprimono al meglio il concept di extraMOENIA project e lasciano intravedere, dopo lunghi anni di sperimentazioni e di ricerche empiriche nel campo dell’abitare e del vivere lo spazio e l’ambiente, un ritorno ai concetti fondamentali e alle regole basilari del costruire, pratica da intendersi come espressione logica e razionale dell’intelletto umano nella ritrovata consapevolezza che la dimensione urbana rappresenta l'espressione visibile della vita sociale.

Dopo La Corrispondenza del Tutto del fotografo bassanese Gian Paolo Lucato (gli scatti palladiani con i quali è stata inaugurata la rassegna e attraverso i quali sono stati discussi i canoni estetici e funzionali dell’architettura classica) e No More Landmarks dell’artista padovano Emmanuele Panzarini (riflessione sull’architettura moderna e contemporanea e sul suo valore simbolico negli scenari urbani) la rassegna prosegue con la mostra SETTE SCULTURE DA CAMERA, personale dello scultore giapponese Masayuki Koorida, a cura di Adolfina De Stefani e Gaetano Salerno e realizzata in collaborazione con Karin Reisovà e Areacreativa42, la cui inaugurazione è prevista per sabato 20 settembre 2014 alle ore 19.00.

Sette lavori in marmo bianco, marmo nero e bronzo di piccole dimensioni, pensati e realizzati per una fruizione domestica (sculture da camera, per l’appunto), riportano all’interno del luogo concluso e definito della galleria (intesa come luogo domestico dell’intimità e dell’interiorità) oggetti la cui valenza estetica e la potente e assoluta ieraticità consentirebbe una loro collocazione, accresciuti nelle dimensioni, in spazi esterni, in luoghi cittadini e contesti urbani, al fine di tessere relazioni significative con lo spazio sociale al fine di indurre riflessioni sulla loro natura e sulla loro funzione.

I lavori dell’artista (nato a Kyoto nel 1960; vive e lavora a Shanghai ma è attivo in vari paesi europei, tra i quali l’Italia e l’Olanda) presentati in questa occasione ricalcano sculture più grandi che l’artista ha realizzato con gli stessi materiali e le stesse forme, fondendo tradizioni e culture figurative orientali e occidentali; già esposti in occasione di eventi artistici in Italia e all’estero, i lavori innescano così una riflessione sul valore e sul significato dell’oggetto artistico in relazione allo spazio (macroarea o microarea) nel quale l’oggetto esiste e con il quale, indipendentemente dalle dimensioni, individua relazioni di coesistenza e di compresenza, di accettazione o di rifiuto, ricercando nelle forme arrotondate e organiche i presupposti per un inserimento graduale e non invasivo delle masse scultoree in un luogo preesistente all’opera d’arte e predominante in rapporto all’opera d’arte stessa, la cui biunivoca relazione esprime la sintesi di elementi razionali ed astratti.

I sette lavori di Masayuki Koorida, ospitati negli spazi espositivi della 3D Gallery dal 20 settembre al 2 ottobre 2014 entreranno così in dialogo con il luogo espositivo svuotato per l’occasione delle molte opere che invece hanno rappresentato il nucleo della ricerca del progetto elements of architecture e che resteranno invece esposte presso La Barbagianna: una casa per l’arte contemporanea di Pontassieve (Firenze) fino al 30 ottobre 2014, all’interno della XXIII Rassegna di Arte Contemporanea.

Scrive il critico d’arte Gaetano Salerno a proposito delle Sette sculture da camera nel testo critico L’energia del vuoto:

“ […]L’artista colloca la propria essenza vitale entro volumi aggreganti e contenutivi, limitati alla giusta espansione fisica e in costante sintonia con l’ambiente circostante, nell’evidente certezza che soltanto un’iperbolica torsione ulteriore, una divagazione estrema non ponderata, potrebbe turbare irrimediabilmente l’ordine superiore che in qualunque elemento terreno rappresenta la regola prima di esistenza e di qualunque elemento terreno diviene metro misurativo nel rapporto con l’alto e lo spirituale e con spazialità sempre difficili da razionalizzare e determinare.
Un’esperienza polimaterica con la quale saggiare la duttilità ma anche la resistenza e la durezza degli elementi alle piegature e alle mutazioni, giocata sul rispetto delle specifiche caratteristiche elementari delle loro nature che consente all’artista di alternare i pieni e i vuoti, le esuberanze delle sporgenze e delle gonfiature alle evidenti esigenze compositive di rientranze e assenze, quasi a esprimere un pensiero che ricerca appigli piuttosto che rotture, chiarimenti piuttosto che fraintendimenti, con il nostro mondo sensibile.
Dalla materia manipolata, smerigliata, lucidata da Masayuki Koorida sembra liberarsi così un sinestetico coinvolgimento tattile che non necessità però d’interazioni fisiche; accettare l’enigma espresso da questi lavori diviene perciò un processo mentale involontario di chi ne affronta la presenza, contemplando non solamente un volume quanto piuttosto una sensazione che la forma non ancora giunta a completa definizione eppure già eternata nella fissità del marmo o del bronzo può lievemente suggerire, mai imporre, realizzando il connubio tra realtà e astrazione [… ]”.

presentazione critica venerdì 20 settembre 2014, ore 19.00
apertura mostra 20 settembre | 02 ottobre 2014

martedì, mercoledì e venerdì ore 16.00 | 20.00
in altri giorni e in altri orari la galleria è visitabile su appuntamento

contatti
+ 39 049 91 30 263
+ 39 349 86 82 155

Lo spazio espositivo si trova nella galleria del Palazzo Donatello, vicino al Centro Culturale Candiani

3D Gallery
Via Antonio Da Mestre, 31
Venezia Mestre

Masayuki Koorida L’energia del vuoto
testo critico a cura di Gaetano Salerno
Come l’acqua o il vento, privi di forma propria e pronti ad accettare il polimorfismo degli elementi con i quali entrano in contatto evitando che l’incontro sia scontro e ne disperda l’energia, così la scultura giapponese mutua dagli elementi della natura la propria struttura per espandersi nello spazio e trovare con esso la propria dimensione e la propria valenza esistenziale; giammai aggressiva e invasiva, piuttosto silenziosa e affine alla ricerca di dialoghi semantici e coesistenze che consentano alle superfici concave e convesse di accettare il peso impercettibile eppure pregnante dell’aria e della luce.
L’arte orientale, principalmente quella giapponese, dalla scrittura alla figurazione, ha sviluppato nel tempo una struttura compositiva orientata alla cancellazione della linea retta, rifiutando l’intersezione dell’angolo inteso come segno di rottura e di cesura di un concetto la cui energica significazione deve invece avvenire attraverso un flusso ininterrotto e inarrestabile.
La linea curva, la successione di perentorie divagazioni circolari, ha incontrato nella sinuosità dell’inarcamento e della morbidezza il principio d’intromissione nel mondo degli oggetti, rendendo possibile e logico il passaggio dall’ideogramma al pittogramma e dalla forma bidimensionale (ma già aprioristicamente scultorea) alla massa tridimensionale; un’espansione armonica e organica, dall’idea potenziale all’idea attuata, il cui tragitto e la cui mutazione hanno mantenuto inalterati gli stessi principi armonici degli elementi fenomenici, il giusto equilibrio cioè tra le parti.
Osservare la scultura di Masayuki Koorida significa dunque entrare in simbiosi con le euritmie del Cosmo – anche quando le dimensioni ridotte di questi lavori suggeriscono l’esplorazione puntuale e analitica di un macromondo in scala ridotta, ridefinendo il rapporto tra il particolare e l’universale – attraverso un’ininterrotta rincorsa di linee curve e sinuose entro le quali gli elementi materici acquisiscono forma, senza mai apparire eccessivi o debordanti.
L’artista colloca la propria essenza vitale entro volumi aggreganti e contenutivi, limitati alla giusta espansione fisica e in costante sintonia con l’ambiente circostante, nell’evidente certezza che soltanto un’iperbolica torsione ulteriore, una divagazione estrema non ponderata, potrebbe turbare irrimediabilmente l’ordine superiore che in qualunque elemento terreno rappresenta la regola prima di esistenza e di qualunque elemento terreno diviene metro misurativo nel rapporto con l’alto e lo spirituale e con spazialità sempre difficili da razionalizzare e determinare.
Un’esperienza polimaterica con la quale saggiare la duttilità ma anche la resistenza e la durezza degli elementi alle piegature e alle mutazioni, giocata sul rispetto delle specifiche caratteristiche elementari delle loro nature che consente all’artista di alternare i pieni e i vuoti, le esuberanze delle sporgenze e delle gonfiature alle evidenti esigenze compositive di rientranze e assenze, quasi a esprimere un pensiero che ricerca appigli piuttosto che rotture, chiarimenti piuttosto che fraintendimenti, con il nostro mondo sensibile.
Dalla materia manipolata, smerigliata, lucidata da Masayuki Koorida sembra liberarsi così un sinestetico coinvolgimento tattile che non necessità però d’interazioni fisiche; accettare l’enigma espresso da questi lavori diviene perciò un processo mentale involontario di chi ne affronta la presenza, contemplando non solamente un volume quanto piuttosto una sensazione che la forma non ancora giunta a completa definizione eppure già eternata nella fissità del marmo o del bronzo può lievemente suggerire, mai imporre, realizzando il connubio tra realtà e astrazione.
Spingendosi così oltre il confine di queste superfici apparentemente autoreferenziali si estende, per negativo, l’inizio di una nuova scultura più grande e maestosa – l’ambiente - nei confronti della quale l’artista nulla può e nulla deve, se non mantenere sacrali distanze pur ricercando spunti colloquiali e affinità; così, terminata l’esplorazione visiva di queste curve che conducono primariamente al loro centro attraverso una forza nascosta centrifuga, un nuovo magnetismo – questa volta dispersivo – ci conduce al loro esterno, sviluppando vettori centrifughi che conducono le nostre osservazioni al fluido atmosferico che ne limita e segna definitivamente le parti, collocando cioè questi organismi nel flusso continuo di una vita che esiste, indipendentemente dalle regole imposte dall’artista, dentro e fuori le cose.
L’iconoclastia rigorosa di questi volumi racchiude reminescenze scintoiste e buddiste e nessi minimalisti che si lasciano contaminare da filosofie orientali e occidentali, due soluzioni cioè apparentemente simili di percorsi speculativi invece ben distinti; il rifiuto di figure conclamate e riconoscibili avvicina perciò questa produzione scultorea ad archetipi in via di catalogazione, ricalcando l’incipit di un Universo che ha esaurito la sua carica eversiva ed entropica solamente quando la decodifica di codici binari ha rifuggito il disordine cosmico, realizzando un complesso e indecifrabile e incomprensibile ordine logico superiore all’interno del quale la costante cosmologica che muove l’espansione della materia si disperde e si afferma nell’energia del vuoto.
Una simmetria talvolta interrotta da un divagare fuori scala, da un eccedere sempre prontamente recuperato da un espressivo ripensamento, conferiscono a ciascun lavoro una dimensione fisica e spirituale eterna, sublimando la forma terrena dell’oggetto e il suo vincolo gravitazionale a una sensazione di levità e di levitazione che scompagina le regole fisiche ambientali, alleggerendole in spazialità improprie che la scultura, vittima della sua consistenza materica, difficilmente potrebbe intercettare, evidenziando inoltre quanto sotto la struttura epidermica immobile l’energia atomica scorra e vibri.
Nelle sculture dell’artista è così presente (forse prigioniero) un principio mistico primordiale, indiscutibile per quanto irraggiungibile, racchiuso come archetipo universale di un Tutto che ricerca la sua sussistenza nel Nulla, che dalla finitezza del nostro pensiero ricerca invece nuove azioni verso l’infinitezza e l’indefinito, consapevole che la materia possa esistere e continuare a espandersi fino al confine invisibile dell’antimateria, che la luce esista solo nei meandri della sua assenza, all’interno perciò di un buio atavico e spaventevole che i lisci e lucenti lavori di Masayuki Koorida cercano, riflettendo e riverberando parossisticamente la luce, di sconfiggere.


The energy of the empty space

Japanese sculpture borrows its structure from the natural elements, occupying the space, finding its own dimension and its own existential value as if it was water or wind that don’t have their own shape and that are ready to accept the polymorphism of the elements they get in contact with, avoiding a collision that would disperse their energy. It is never aggressive and invasive whereas it is silent and uses to search for semantic dialogues that could allow the concave and convex surfaces to accept the subtle and at the same time meaningful weight of the air and of the light.

The Oriental art, especially the Japanese one, in its narrative and figurative form, developed a compositive structure that tends to the removal of the straight line, that refuses the intersection of the corner as a symbol of breakage while it claims it as a concept whose energetic meaning must be conveyed through a continuous flow.

The curved line and the sequence of peremptory round parenthesis, through the winding of the arching and  the softness has found the way to interfere in the material world and has therefore  made possible and obvious the transition from the ideograph to the pictograph and from the two-dimensional shape (sculptural a priori) to the three-dimensional mass; an harmonious expansion from the prospective to the actualized idea whose trajectory and changes kept the same harmonious principles of the phenomenal elements, that is to say the right balance between the parts.

When we look at Masayuki Koorida’s sculptures therefore, we become a whole with the pulses of the Universe through a continuous chase of curved and winding lines that give shape to the material elements without making them seem excessive or overflowing – even when the limited dimensions of these works suggest the punctual and analytical exploration of a reduced macro-world redefining the relationship between the particular and the universal.

The artist puts its own life essence into volumes that are unifying and full of contents, that limit themselves to the right physical expansion and that are always in tune with the surrounding environment. There is the undeniable certainty that only an additional hyperbolic twisting, an extreme and not pondered parenthesis, could unsettle hopelessly the superior order that is the ground rule of the existence of every terrestrial element  and that represents the measure tape in the relationship
between the terrestrial element and the high and the spiritual and with spaces difficult to be rationalized and determined.

An experience that explores multiple materials and that makes us determine the flexibility but also the resistance and the rigidity of the elements towards the twisting and the mutations, an experience based on the respect towards the basic features of their nature and that allows the artist to interchange full and empty spaces, the abundance of the protrusions and the necessary indentations and absences. It seems as if he would like to express a thought that is looking for handholds instead of breakages, clarifications instead of misunderstandings with our perceivable world.

The material manipulated, frosted and polished by Masayuki Koorida seems to free a synaesthetic tactil involvement that does not require physical interactions. To accept the mystery of these works is therefore an accidental mental process of the spectator who does not contemplate merely a volume but rather a feeling suggested, never imposed, by the shape incomplete and  at the same time immortalized in the stillness of  the marble or the bronze, realizing the bond between reality and abstraction.

A new, bigger and more majestic sculpture –the environment- extends itself beyond the border of these apparently self-referential surfaces. The artist can only keep sacred distances from it even if he looks for dialogue opportunities and similarities. In this way, once we cease to observe these curves that lead to their centre through a hidden centrifugal force, a new dispersive magnetism lead us to their exterior allowing us to observe the atmospheric fluid that delimit their parts positioning this organisms in the continuous flow of a life that exist, inside and outside the things, irrespective of the rules imposed by the artist.

The strict iconoclasm of these volumes brings to the mind vague shinto and Buddhist recollections and minimalist connections tainted by eastern and western philosophies, the similar ends of two speculative paths extremely different one from the other. The denial of recognizable figures approaches this sculpture to archetypes that are going to be catalogued, and reminds us of the beginning of a Universe that has run out of its subversive and entropic tension only when the decoding of binary codes has shun the cosmic disorder, realizing a complex and incomprehensible logic superior order inside which the cosmologic constant that moves the expansion of the matter scatter and affirm itself in the energy of the empty space.

This symmetry sometimes is broken by an excessive parenthesis, by an excess always brought down by an expressive afterthought gives each work a physical and spiritual eternal bringing the earthly form of the object to a feeling of levitation that modifies the rules in relieving physical environmental spatiality is not appropriate to sculpture because of its material consistency. In this way it is evident that under the epidermal structure property of matter Atomic Energy flows and vibrates.

In the sculptures of the artist is so present (perhaps a prisoner) a primordial beginning mystical and unattainable, enclosed as a universal archetype of all that research for his subsistence nowhere. It from our limited thinking, new research actions towards the infinite and indefinite, aware that the matter can exist and continue to expand to the border invisible antimatter and that light exists only in the space of his absence. Therefore inside of a dark and terrible atavistic that smooth and shiny work of Masayuki Koorida looking , thinking and reverberating paroxysmally the light of defeat .




                       

mercoledì 10 settembre 2014

CAVELLINI CENTENARY 1914 - 2014


3D GALLERY
presenta

exstraMOENIA project

CAVELLINI CENTENARY 1914 – 2014
progetto di MAIL ART

opere dalla collezione di artestudio MORANDI e AREACREATIVA42

a cura di
Adolfina De Stefani e Gaetano Salerno

con la collaborazione di: Emilio e Franca Morandi, Karin Reisovà e Giulia Chiono
presentazione critica a cura di Gaetano Salerno
sabato 13 settembre 2014, ore 19.00
durante la serata performance “CAVELLINI GENIUS” di Emilio e Franca Morandi


scrive Gaetano Salerno
Una forma d’arte social, la Mail Art, nata in seno ai movimenti d’avanguardia europei, mutuata da forme ottocentesche di pubblicità artistiche e poi riscoperta, codificata, rivitalizzata nella seconda parte del secolo Novecento da artisti americani prima e europei poi.
Basandosi su uno scambio libero tra artisti e galleristi e sfruttando il sistema postale per la diffusione e divulgazione delle opere d’arte, la Mail Art aggira - in questo aspetto cela il valore critico di rivendicazione di indipendenza intellettuale - il giudizio ingombrante delle giurie e dei sempre opinabili criteri selettivi imposti dai sistemi dell’arte.
Dai dada ai fluxus accettare l’invito di un gallerista a spedire l’opera, stimandola secondo un valore di mercato non conferito dal valore potenziale esprimibile dall’opera stessa (concettualmente illimitato proprio perché svincolato dai parametri dei beni di consumo primari) ma dal valore simbolico convenzionalmente definito dall’affrancatura necessaria alla spedizione, equivale già alla messa in atto di un’operazione artistica focalizzata non più (non solo) sul risultato dell’opera conclusa quanto piuttosto sul percorso formativo e realizzativo che l’opera stessa compie per concretizzarsi e svelarsi al pubblico come bene viaggiante.
Un viaggio metaforico, trans-finito poiché punto di arrivo e di ripartenza, anch’essa metaforica, coincidono. La Mail Art apre così la fruizione del prodotto artistico ad un circuito esteso ed estendibile, esportandolo al di fuori della nicchia degli accoliti, erodendo dall’interno sacre ritualità e sacre vanità consolidate dalle stesse pigre consuetudini che avevano già individuato nella Mail Art, anche nella fase pioneristica, elementi dissacratori.
La risposta dell’artista ad un invito artistico esprime il principio primo del fare arte, organizzare cioè una forma significativa e condivisa di comunicazione. Assunto dunque l’intento divulgativo dell’arte, media quali il biglietto, la cartolina, la busta elevati a supporti d’autore, interpretano una forma agile di promozione del messaggio, un sentiero poco sdrucciolevole per la sua veicolazione, non più affidato alle lentezze di pregiudizi militanti bensì all’azione dinamica e acritica di un postino, al timbro dell’ufficio postale che suggella il contratto culturale stipulato tra mittenti e riceventi consenzienti, in grado di adottare la stessa forma comunicativa, lo stesso registro linguistico, entrambi educati alla decodifica del messaggio, al riconoscimento del suo valore intrinseco.
Per queste ragioni la Mail Art è, ancora oggi, una forma provocatoria e a tratti avanguardista di pensare e agire, capace di serbare in sé il fascino vintage delle missive d’antan (e di azioni un tempo meccanicamente ripetute, ormai sopite, quali vergare con l’inchiostro il candore della carta, piegare il lembo di una busta,
assumerne coscienza sensoriale) e di intercettare, contemporaneamente, nuovi codici comportamentali propri delle società (artistiche) più evolute quali l’happening o il flash mob, in virtù delle quali un pensiero è più forte quanto più socialmente e massivamente condiviso.
Si converge perciò insieme verso uno spazio convenuto, verso un epilogo iniziatico condiviso che coincide, topograficamente e culturalmente, con l’ingresso certo in galleria; consapevoli che lì, aperta la busta, si consumerà un atto creativo avviato in un tempo altro e dilatato, costruito in un luogo altro e ubiquo, immune - in virtù di questa forma del viaggiare che aprioristicamente e tenacemente rifiuta di compattarsi e allegarsi ad una estemporanea quanto anonima missiva elettronica - alle spesso effimere e vacue progettualità artistiche contemporanee.


G.A.C.
intermezzo critico, breve e incompleto
testo critico a cura di Gaetano Salerno
Il manifesto encomiastico – o autostoricizzante – del suo centenario è già pronto da tempo, in attesa di essere affisso nei maggiori musei di arte contemporanea del mondo.
Nella lungimiranza dell’epitaffio d’autore e nell’apparente presunzione di dover un giorno essere conosciuto, ricordato e celebrato da quell’establishment culturale al quale invece si opponeva con intelligenza e ironia, sono racchiusi gli elementi che hanno reso GAC (asciutto acronimo con il quale Guglielmo Achille Cavellini era solito firmare le proprie azioni e le proprie opere) uno dei personaggi fondamentali del palcoscenico artistico internazionale del primo e soprattutto secondo Novecento.
Fondamentale e (in Italia, ingiustamente) poco conosciuto; un nome ancora pronunciato in circuiti paralleli a quelli ufficiali, a riprova di quanto la critica e il pubblico in genere preferiscano i terreni battuti e sicuri ai sentieri laterali, meno esplorati, accendendo le proprie passioni solamente di fronte a quell’arte imitativa, artificiale, malata che George Maciunas, padre del movimento Fluxus (vicinissimo negli intenti all’idea di GAC dell’arte), si riprometteva di purgare.
Fondamentale soprattutto per aver collocato la ricerca artistica italiana ben oltre i confini geografici nazionali e molto lontano dalle limitate visioni di un ambiente di accoliti che ha sempre stentato a intercettare le linee culturali di più ampio respiro europeo, men che meno a orientarle.
Pochi gli esempi – anche se significativi – di movimenti artistici nostrani percepiti in Europa; nell’ottica dunque di riconoscere valori nazionali esportati oltre il suolo patrio, è necessario oggi più che mai annoverare tra questi la figura di GAC, ricostruendone a tutto tondo la complessità di uomo, mecenate, artista, collezionista e d’istigatore culturale, capace di dirottare almeno apparentemente l’attenzione su se stesso per estendere invece, attraverso il gioco ironico dell’autocelebrazione, la sfera di azione agli altri artisti, per i quali ha svolto un lavoro di primaria importanza.
Tante le iniziative di rottura proposte da GAC, nell’ottica di abbattere barriere e muri non sempre solamente metaforici; le mostre a domicilio, gli autoritratti, la mail art come principio democratico e democratizzante della comunicazione (l’arte diveniva finalmente cosa nostra) hanno contribuito a tessere relazioni significative e indispensabili tra l’Italia e il resto del mondo, avvicinando sempre più la nostra proposta artistica a quel percorso empirico e sperimentale che l’Europa ha conosciuto a partire dalle Avanguardie Storiche.
GAC nasceva a Brescia nel 1914 in un clima di fermento culturale e di sconvolgimento politico che di lì a poco avrebbe coinvolto l’Italia e il mondo nel più sanguinoso conflitto mondiale ma anche fornito all’Italia e al mondo forti linee culturali difensive.
La componente illogica degli anni di formazione, l’osservazione dell’utopia sociale di questo primo periodo che gli europei, ad eccezione di gruppi di artisti finalmente uniti e politicizzati, sembravano accettare passivamente, trasmettono a GAC la certezza che la comprensione del mondo sia complessa, l’arricchimento culturale più articolato e sofferto di quello indotto dai testi scolastici o dalle

regole ortodosse della creazione e che gli opposti debbano coesistere in spazi ridotti e apparentemente inessenziali quali, ad esempio, la breve vita di un uomo.
Il lungo segmento teso tra i dadaismi e i neodadaismi insegnava così, a GAC e a chiunque avesse voluto individuare nell’arte una soluzione proattiva dall’imbarbarimento della società contemporanea, a muoversi agilmente e consapevolmente in un percorso di tesi-antitesi-sintesi tra gli elementi razionali e irrazionali offerti da un sistema che già allora appariva controverso, a ricollocarsi rapidamente in una sconcertante realtà diametralmente opposta a quella che pochi decenni prima, nell’arte e nella società, appariva realizzabile.
GAC moriva nel 1990, molto prima della data che già aveva provveduto a stampare e che rappresentava un appuntamento al quale non avrebbe voluto mancare; con la freschezza che la sua azione invadente e invasiva ancora oggi racchiude, con la forza dissacratoria che la sua azione ha sempre ricercato ed espresso, si percepisce, oggi più che mai, la sua assenza e il bisogno di proseguire un percorso già iniziato ma non ancora compiuto.
Ricordare e festeggiare GAC, nel centenario della nascita, con lo stesso disincanto e la stessa leggerezza con i quali aveva tracciato una linea zigzagante, inesplorata e illuminante, tra gli ambienti culturali che ben conosceva e che amava frequentare mantenendo una signorile distanza giammai scevra da criticità, significa perciò continuare a intravedere possibilità comunicative, aggregative, relazionali del fare arte, ricoprire il mondo di nuove scritture e di nuovi pensieri, esportare l’atto creativo nel flusso vitale della realtà.
Significa, in ultima analisi, prestare attenzione ai suggerimenti e alle indicazioni che GAC ci ha lasciato, facendo proprio il pensiero dello scrittore Bertolt Brecht (e chiudere così questo intermezzo critico, breve e incompleto con un secondo epitaffio) il quale avrebbe voluto veder scritto sulla propria lapide “ha fatto delle proposte, noi le abbiamo ascoltate”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
www.segnoperenne.it
info@segnoperenne.it facebook/segnoperenne twitter/segnoperenne 

9 – 16 settembre 2014

martedì, mercoledì e venerdì ore 17.00 | 19.30  gli altri giorni e in altri orari la galleria è visitabile su appuntamento
contatti + 39 049 91 30 263 + 39 349 86 82 155 adolfinadestefani@gmail.com
Lo spazio espositivo si trova nella galleria del Palazzo Donatello, vicino al Centro Culturale Candiani
3D Gallery
Via Antonio Da Mestre, 31 Venezia Mestre
























                             le opere dell'archivio ADOLFINA DE STEFANI 3D GALLERY
Antonello Mantovani

Adolfina De stefani

Antonio Ciarallo

Cornello Francesco  

Vulic Darko  

EDITION JANUS  

Roberto Formigoni

I Santini del Prete

Ruggero Maggi

Ruggero Maggi

Ruggero Maggi

Antonio Panino

Gianni Romeo