3D GALLERY
presenta
exstraMOENIA
project
CAVELLINI CENTENARY 1914 – 2014
progetto di MAIL ART
opere
dalla collezione di artestudio MORANDI e
AREACREATIVA42
a cura di
Adolfina De
Stefani e Gaetano Salerno
con la collaborazione di:
Emilio e Franca Morandi, Karin Reisovà e Giulia Chiono
presentazione critica a
cura di Gaetano Salerno
sabato 13 settembre 2014, ore 19.00
durante la serata
performance “CAVELLINI GENIUS” di Emilio e Franca Morandi
scrive Gaetano Salerno
Una forma d’arte social, la Mail Art, nata in seno ai
movimenti d’avanguardia europei, mutuata da forme ottocentesche di pubblicità
artistiche e poi riscoperta, codificata, rivitalizzata nella seconda parte del
secolo Novecento da artisti americani prima e europei poi.
Basandosi su uno scambio libero tra artisti e galleristi e
sfruttando il sistema postale per la diffusione e divulgazione delle opere
d’arte, la Mail Art aggira - in questo aspetto cela il valore critico di
rivendicazione di indipendenza intellettuale - il giudizio ingombrante delle
giurie e dei sempre opinabili criteri selettivi imposti dai sistemi dell’arte.
Dai dada ai fluxus accettare l’invito di un
gallerista a spedire l’opera, stimandola secondo un valore di mercato non conferito
dal valore potenziale esprimibile dall’opera stessa (concettualmente illimitato
proprio perché svincolato dai parametri dei beni di consumo primari) ma dal
valore simbolico convenzionalmente definito dall’affrancatura necessaria alla
spedizione, equivale già alla messa in atto di un’operazione artistica
focalizzata non più (non solo) sul risultato dell’opera conclusa quanto
piuttosto sul percorso formativo e realizzativo che l’opera stessa compie per
concretizzarsi e svelarsi al pubblico come bene viaggiante.
Un viaggio metaforico, trans-finito poiché punto di arrivo e
di ripartenza, anch’essa metaforica, coincidono. La Mail Art apre così la
fruizione del prodotto artistico ad un circuito esteso ed estendibile,
esportandolo al di fuori della nicchia degli accoliti, erodendo dall’interno
sacre ritualità e sacre vanità consolidate dalle stesse pigre consuetudini che
avevano già individuato nella Mail Art, anche nella fase pioneristica, elementi
dissacratori.
La risposta dell’artista ad un invito artistico esprime il
principio primo del fare arte, organizzare cioè una forma significativa e
condivisa di comunicazione. Assunto dunque l’intento divulgativo dell’arte, media
quali il biglietto, la cartolina, la busta elevati a supporti d’autore,
interpretano una forma agile di promozione del messaggio, un sentiero poco
sdrucciolevole per la sua veicolazione, non più affidato alle lentezze di
pregiudizi militanti bensì all’azione dinamica e acritica di un postino, al
timbro dell’ufficio postale che suggella il contratto culturale stipulato tra
mittenti e riceventi consenzienti, in grado di adottare la stessa forma
comunicativa, lo stesso registro linguistico, entrambi educati alla decodifica
del messaggio, al riconoscimento del suo valore intrinseco.
Per queste ragioni la Mail Art è, ancora oggi, una forma
provocatoria e a tratti avanguardista di pensare e agire, capace di serbare in
sé il fascino vintage delle missive d’antan (e di azioni un tempo
meccanicamente ripetute, ormai sopite, quali vergare con l’inchiostro il
candore della carta, piegare il lembo di una busta,
assumerne coscienza sensoriale) e di intercettare,
contemporaneamente, nuovi codici comportamentali propri delle società
(artistiche) più evolute quali l’happening o il flash mob, in
virtù delle quali un pensiero è più forte quanto più socialmente e massivamente
condiviso.
Si converge perciò insieme verso uno spazio convenuto, verso
un epilogo iniziatico condiviso che coincide, topograficamente e culturalmente,
con l’ingresso certo in galleria; consapevoli che lì, aperta la busta, si
consumerà un atto creativo avviato in un tempo altro e dilatato, costruito in
un luogo altro e ubiquo, immune - in virtù di questa forma del viaggiare che
aprioristicamente e tenacemente rifiuta di compattarsi e allegarsi ad una
estemporanea quanto anonima missiva elettronica - alle spesso effimere e
vacue progettualità artistiche contemporanee.
G.A.C.
intermezzo critico, breve e incompleto
testo critico a cura di Gaetano Salerno
Il manifesto encomiastico – o autostoricizzante – del suo centenario è già pronto da tempo, in attesa di essere affisso nei maggiori musei di arte contemporanea del mondo.
Nella lungimiranza dell’epitaffio d’autore e nell’apparente presunzione di dover un giorno essere conosciuto, ricordato e celebrato da quell’establishment culturale al quale invece si opponeva con intelligenza e ironia, sono racchiusi gli elementi che hanno reso GAC (asciutto acronimo con il quale Guglielmo Achille Cavellini era solito firmare le proprie azioni e le proprie opere) uno dei personaggi fondamentali del palcoscenico artistico internazionale del primo e soprattutto secondo Novecento.
Fondamentale e (in Italia, ingiustamente) poco conosciuto; un nome ancora pronunciato in circuiti paralleli a quelli ufficiali, a riprova di quanto la critica e il pubblico in genere preferiscano i terreni battuti e sicuri ai sentieri laterali, meno esplorati, accendendo le proprie passioni solamente di fronte a quell’arte imitativa, artificiale, malata che George Maciunas, padre del movimento Fluxus (vicinissimo negli intenti all’idea di GAC dell’arte), si riprometteva di purgare.
Fondamentale soprattutto per aver collocato la ricerca artistica italiana ben oltre i confini geografici nazionali e molto lontano dalle limitate visioni di un ambiente di accoliti che ha sempre stentato a intercettare le linee culturali di più ampio respiro europeo, men che meno a orientarle.
Pochi gli esempi – anche se significativi – di movimenti artistici nostrani percepiti in Europa; nell’ottica dunque di riconoscere valori nazionali esportati oltre il suolo patrio, è necessario oggi più che mai annoverare tra questi la figura di GAC, ricostruendone a tutto tondo la complessità di uomo, mecenate, artista, collezionista e d’istigatore culturale, capace di dirottare almeno apparentemente l’attenzione su se stesso per estendere invece, attraverso il gioco ironico dell’autocelebrazione, la sfera di azione agli altri artisti, per i quali ha svolto un lavoro di primaria importanza.
Tante le iniziative di rottura proposte da GAC, nell’ottica di abbattere barriere e muri non sempre solamente metaforici; le mostre a domicilio, gli autoritratti, la mail art come principio democratico e democratizzante della comunicazione (l’arte diveniva finalmente cosa nostra) hanno contribuito a tessere relazioni significative e indispensabili tra l’Italia e il resto del mondo, avvicinando sempre più la nostra proposta artistica a quel percorso empirico e sperimentale che l’Europa ha conosciuto a partire dalle Avanguardie Storiche.
GAC nasceva a Brescia nel 1914 in un clima di fermento culturale e di sconvolgimento politico che di lì a poco avrebbe coinvolto l’Italia e il mondo nel più sanguinoso conflitto mondiale ma anche fornito all’Italia e al mondo forti linee culturali difensive.
La componente illogica degli anni di formazione, l’osservazione dell’utopia sociale di questo primo periodo che gli europei, ad eccezione di gruppi di artisti finalmente uniti e politicizzati, sembravano accettare passivamente, trasmettono a GAC la certezza che la comprensione del mondo sia complessa, l’arricchimento culturale più articolato e sofferto di quello indotto dai testi scolastici o dalle
intermezzo critico, breve e incompleto
testo critico a cura di Gaetano Salerno
Il manifesto encomiastico – o autostoricizzante – del suo centenario è già pronto da tempo, in attesa di essere affisso nei maggiori musei di arte contemporanea del mondo.
Nella lungimiranza dell’epitaffio d’autore e nell’apparente presunzione di dover un giorno essere conosciuto, ricordato e celebrato da quell’establishment culturale al quale invece si opponeva con intelligenza e ironia, sono racchiusi gli elementi che hanno reso GAC (asciutto acronimo con il quale Guglielmo Achille Cavellini era solito firmare le proprie azioni e le proprie opere) uno dei personaggi fondamentali del palcoscenico artistico internazionale del primo e soprattutto secondo Novecento.
Fondamentale e (in Italia, ingiustamente) poco conosciuto; un nome ancora pronunciato in circuiti paralleli a quelli ufficiali, a riprova di quanto la critica e il pubblico in genere preferiscano i terreni battuti e sicuri ai sentieri laterali, meno esplorati, accendendo le proprie passioni solamente di fronte a quell’arte imitativa, artificiale, malata che George Maciunas, padre del movimento Fluxus (vicinissimo negli intenti all’idea di GAC dell’arte), si riprometteva di purgare.
Fondamentale soprattutto per aver collocato la ricerca artistica italiana ben oltre i confini geografici nazionali e molto lontano dalle limitate visioni di un ambiente di accoliti che ha sempre stentato a intercettare le linee culturali di più ampio respiro europeo, men che meno a orientarle.
Pochi gli esempi – anche se significativi – di movimenti artistici nostrani percepiti in Europa; nell’ottica dunque di riconoscere valori nazionali esportati oltre il suolo patrio, è necessario oggi più che mai annoverare tra questi la figura di GAC, ricostruendone a tutto tondo la complessità di uomo, mecenate, artista, collezionista e d’istigatore culturale, capace di dirottare almeno apparentemente l’attenzione su se stesso per estendere invece, attraverso il gioco ironico dell’autocelebrazione, la sfera di azione agli altri artisti, per i quali ha svolto un lavoro di primaria importanza.
Tante le iniziative di rottura proposte da GAC, nell’ottica di abbattere barriere e muri non sempre solamente metaforici; le mostre a domicilio, gli autoritratti, la mail art come principio democratico e democratizzante della comunicazione (l’arte diveniva finalmente cosa nostra) hanno contribuito a tessere relazioni significative e indispensabili tra l’Italia e il resto del mondo, avvicinando sempre più la nostra proposta artistica a quel percorso empirico e sperimentale che l’Europa ha conosciuto a partire dalle Avanguardie Storiche.
GAC nasceva a Brescia nel 1914 in un clima di fermento culturale e di sconvolgimento politico che di lì a poco avrebbe coinvolto l’Italia e il mondo nel più sanguinoso conflitto mondiale ma anche fornito all’Italia e al mondo forti linee culturali difensive.
La componente illogica degli anni di formazione, l’osservazione dell’utopia sociale di questo primo periodo che gli europei, ad eccezione di gruppi di artisti finalmente uniti e politicizzati, sembravano accettare passivamente, trasmettono a GAC la certezza che la comprensione del mondo sia complessa, l’arricchimento culturale più articolato e sofferto di quello indotto dai testi scolastici o dalle
regole ortodosse della creazione e che gli opposti debbano coesistere in spazi ridotti e
apparentemente inessenziali quali, ad esempio, la breve vita di un uomo.
Il lungo segmento teso tra i dadaismi e i neodadaismi insegnava così, a GAC e a chiunque avesse voluto individuare nell’arte una soluzione proattiva dall’imbarbarimento della società contemporanea, a muoversi agilmente e consapevolmente in un percorso di tesi-antitesi-sintesi tra gli elementi razionali e irrazionali offerti da un sistema che già allora appariva controverso, a ricollocarsi rapidamente in una sconcertante realtà diametralmente opposta a quella che pochi decenni prima, nell’arte e nella società, appariva realizzabile.
GAC moriva nel 1990, molto prima della data che già aveva provveduto a stampare e che rappresentava un appuntamento al quale non avrebbe voluto mancare; con la freschezza che la sua azione invadente e invasiva ancora oggi racchiude, con la forza dissacratoria che la sua azione ha sempre ricercato ed espresso, si percepisce, oggi più che mai, la sua assenza e il bisogno di proseguire un percorso già iniziato ma non ancora compiuto.
Ricordare e festeggiare GAC, nel centenario della nascita, con lo stesso disincanto e la stessa leggerezza con i quali aveva tracciato una linea zigzagante, inesplorata e illuminante, tra gli ambienti culturali che ben conosceva e che amava frequentare mantenendo una signorile distanza giammai scevra da criticità, significa perciò continuare a intravedere possibilità comunicative, aggregative, relazionali del fare arte, ricoprire il mondo di nuove scritture e di nuovi pensieri, esportare l’atto creativo nel flusso vitale della realtà.
Significa, in ultima analisi, prestare attenzione ai suggerimenti e alle indicazioni che GAC ci ha lasciato, facendo proprio il pensiero dello scrittore Bertolt Brecht (e chiudere così questo intermezzo critico, breve e incompleto con un secondo epitaffio) il quale avrebbe voluto veder scritto sulla propria lapide “ha fatto delle proposte, noi le abbiamo ascoltate”.
Il lungo segmento teso tra i dadaismi e i neodadaismi insegnava così, a GAC e a chiunque avesse voluto individuare nell’arte una soluzione proattiva dall’imbarbarimento della società contemporanea, a muoversi agilmente e consapevolmente in un percorso di tesi-antitesi-sintesi tra gli elementi razionali e irrazionali offerti da un sistema che già allora appariva controverso, a ricollocarsi rapidamente in una sconcertante realtà diametralmente opposta a quella che pochi decenni prima, nell’arte e nella società, appariva realizzabile.
GAC moriva nel 1990, molto prima della data che già aveva provveduto a stampare e che rappresentava un appuntamento al quale non avrebbe voluto mancare; con la freschezza che la sua azione invadente e invasiva ancora oggi racchiude, con la forza dissacratoria che la sua azione ha sempre ricercato ed espresso, si percepisce, oggi più che mai, la sua assenza e il bisogno di proseguire un percorso già iniziato ma non ancora compiuto.
Ricordare e festeggiare GAC, nel centenario della nascita, con lo stesso disincanto e la stessa leggerezza con i quali aveva tracciato una linea zigzagante, inesplorata e illuminante, tra gli ambienti culturali che ben conosceva e che amava frequentare mantenendo una signorile distanza giammai scevra da criticità, significa perciò continuare a intravedere possibilità comunicative, aggregative, relazionali del fare arte, ricoprire il mondo di nuove scritture e di nuovi pensieri, esportare l’atto creativo nel flusso vitale della realtà.
Significa, in ultima analisi, prestare attenzione ai suggerimenti e alle indicazioni che GAC ci ha lasciato, facendo proprio il pensiero dello scrittore Bertolt Brecht (e chiudere così questo intermezzo critico, breve e incompleto con un secondo epitaffio) il quale avrebbe voluto veder scritto sulla propria lapide “ha fatto delle proposte, noi le abbiamo ascoltate”.
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9 – 16
settembre 2014
martedì, mercoledì e venerdì ore 17.00 | 19.30 gli altri giorni e in altri orari la galleria
è visitabile su appuntamento
contatti + 39 049
91 30 263 + 39 349 86 82 155 adolfinadestefani@gmail.com
Lo spazio espositivo si trova nella galleria del Palazzo
Donatello, vicino al Centro Culturale Candiani
3D Gallery
Via
Antonio Da Mestre, 31 Venezia Mestre
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