ogni strada è un ritorno
Tiziano Bellomi Mirta Carroli Christian Gobbo Enrico Minato Federica Palmarin
a cura di
Gaetano Salerno e Adolfina De Stefani
inaugurazione
venerdì 29 gennaio 2016, ore 21.00
Complesso del Baraccano | Sala Esposizioni Giulio Cavazza
Via Santo Stefano, 119 BOLOGNA
29 gennaio 2016 > 1° febbraio 2016
in occasione della serata inaugurale verranno proposte le performance
OMAGGIO/OLTRAGGIO 2 di Adolfina De Stefani
(con la collaborazione di :
Anastasia Moro, Martina Pasqualetto, Antonello Mantovani, Donato
Ceron, Gian Paolo Lucato, Samuela Scatto, Agustina Pellegrini)
La mostra, a cura di Gaetano Salerno (curatore e critico d’arte) e Adolfina De Stefani (artista e
curatrice), realizzata in collaborazione con Segnoperenne e patrocinata dal Comune di Bologna -
Quartiere Santo Stefano, nasce da un progetto di Gaetano Salerno, declinato in più episodi, ispirato
alla filosofia della decrescita incentrato sull’analisi, riflessione e discussione dei fenomeni artistici
della contemporaneità; il progetto espositivo Ogni strada è un ritorno (progetto in fieri introdotto
dalla collettiva AXIAL AGES, a cura di Gaetano Salerno, presentata nel mese di dicembre 2015
presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzè - Venezia), presenterà al pubblico un’eterogenea e
ragionata selezione critica dei lavori di cinque artisti (diversi per linguaggi e ricerche) attraverso i
quali istruire scambi biunivoci e sintonie per individuare pretesti d’indagine verso nuove
significazioni dell’oggetto artistico e del gesto creativo, oltre l’immediata e superficiale sua
decodifica, considerato nella sua valenza di veicolo di conoscenze condivise.
Pittura, scultura, installazione, video, neon, fotografia, azione performativa invaderanno lo spazio
espositivo senza soluzione di continuità, per sviluppare invece un complesso percorso enunciativo
ed escatologico, privo di evidenti e aprioristiche direttive, nel tentativo di condurre lo spettatore a
rivelazioni posteriori, sospendendone il giudizio e la comprensione in un limbo d’indefinitezza e di
dubbi condivisi, necessari per la riscoperta di verità non più individuali, inferite dai propri saperi
pregressi ma riconducibili a esperienze esistenziali collettive di una società in formazione.
I libri-oggetto (blocchi di sapere inerti, libri depotenziati della funzione d’uso primaria, contenitori di
culture inevitabilmente elitarie alle quali l’artista, incollando le pagine, nega il libero accesso,
costringendo il lettore a intuire percorsi autonomi, alternativi e sperimentativi, verso la conoscenza
e l’apprendimento) e l’azione performativa di Enrico Minato, ragionamento sul valore delle parole,
ricomposte attraverso azioni guidate alla decrittazione del messaggio e alla sua compiutezza; le sculture al neon di Christian Gobbo, attraverso le quali la parola - diffusa e trascesa in metafisici
bagliori che smaterializzano l’oggetto nel concetto - diventa pretesto riflessivo per percepire
presunte forme d’illuminazione simili a scoperte iniziatiche; gli scatti fotografici di Federica Palmarin,
linee intricate e intersecate su sfondi bianchi e lattiginosi, visualizzano il tentativo
d’interconnessione tra saperi multipli e trasversali, l’unione di coscienze individuali (come i fili
dell’alta tensione che la fotografa ritrae privandoli della loro immediata riconoscibilità) ricomposte
nella rete intellettuale comune per originare un sovra-sapere appartenente all’umanità intera; le
minimali e materiche sculture di cemento di Tiziano Bellomi - anch’esse eternizzazione di un
archetipo - i cui oggetti artistici (selezionati tra le opere prodotte da altri artisti), cementificati e
imprigionati dentro l’oggetto-manufatto, rifuggono un’immediata quanto parziale fruizione visiva e
ridiscutono - intraprendendo molteplici digressioni concettuali tra apparenza ed essenza - i principi
di verità e di autorevolezza di forme d’arte onnipresenti e onniscienti; le sculture di acciaio Cor-Ten
di Mirta Carroli, materie piegate ai voleri etici dell’intelletto, elementi totemici e assoluti, per
alludere a verità iniziatiche, estranee al tempo, originate da un flusso di saperi archetipici che
sopravvivono nelle culture o oltre le culture originando gli archivi storici di ciascuna forma di
contemporaneità (l’essere qui proprio di tutte le cose del mondo).
“OGNI STRADA E’ UN RITORNO” spiega il critico Gaetano Salerno “rilegge e interpreta visualmente
una teoria formulata da Karl Jaspers e incentrata sui dubbi esistenziali dell’uomo e sulla loro valenza “nel
tempo e oltre il tempo”, rimasti cioè invariati nei secoli.
Secondo il filosofo, infatti, in un periodo della storia dell’umanità collocabile tra l’800 e il 200 a.C. e in
un’area geografica estesa, compresa tra Asia ed Europa, pensatori di grandi civiltà culturalmente
lontane tra loro iniziarono a ragionare su argomenti comuni, sviluppando atteggiamenti auto-riflessivi e
cercando contestualmente risposte ai medesimi dubbi esistenziali ai quali l’uomo, nonostante il
progresso tecnologico e scientifico raggiunto in un breve lasso di tempo, non è stato (e non è) in grado
di pervenire. Jaspers denomina questo lungo momento, fondamentale per la nascita e lo sviluppo di un
pensiero moderno e per la formazione di una coscienza collettiva morale ed etica, periodo assiale.
Come allora, quando nuovi pensieri prodotti dalla speculazione filosofica soppiantarono le vecchie
mitologie e credenze nelle quali l’uomo si era rifugiato, così l’arte dovrebbe oggi invertire la propria
attitudine allo sviluppo di linguaggi disorganici e autocratici, elaborare nuove e strategiche visioni
condivise, sostituendo ai molti idiomi per mezzo dei quali si esprime una sovra-scrittura, retta da nuove
logiche sintattiche, per la formazione di un registro (densamente parlato e densamente compreso) in
grado di individuare, esprimere ed evidenziare i limiti (e i dubbi) di una civiltà ancora incompleta,
testimone passiva dei molti e frammentati saperi acquisiti.
Ogni strada è un ritorno parla così dell’esigenza di invertire il cammino lungo la strada della conoscenza,
riconsiderandone tutte le deviazioni incontrate nei labirinti dell’evoluzione, dell’esigenza cioè di
esplorarne con maggior rigore e consapevolezza i saperi ignorati e ricostruire un archivio delle
conoscenze disperse nel tragitto compiuto dall’umanità; operazione necessaria per scardinare le
sovrastrutture mentali dell’uomo moderno, le prigionie di percezioni fallaci, per la ri-semantizzazione cioè
dell’oggetto artistico il cui valore (etico e didattico), nell’epoca odierna, dovrebbe essere inversamente
proporzionale alla certezza evocata dallo stereotipo nel quale è racchiuso, la negazione della sostanza
aristotelica della quale l’opera è prigioniera ma che contemporaneamente ne garantisce l’esistenza e
la cui sola esistenza sopravvive oltre ogni ragionevole dubbio.
Tra certezza e suggestione Ogni strada è ritorno costruisce un dialogo speculativo sopra i due massimi
sistemi del mondo, prima contemplando e poi negando verità palesate da strutture assiomatiche e da
pensieri mistificati; un ulteriore ed evocativo moto intellettuale alla scoperta poiché nella perpetua
assenza di definitive certezze è indicato il solco della crescita, le linee guide che il codice sincretico
dell’arte (oltre a ciò che sembra essere) avrebbe il compito di tracciare e definire, rifuggendo dirette ed
esaustive risposte quanto piuttosto ritrattando e confutando accomodanti ma parziali verità”.
Gli artisti, selezionati per l’occasione, sono posti in dialogo tra loro e con lo spazio espositivo che
accoglie, nel vuoto e nel silenzio, pochi e selezionati lavori per generare un cortocircuito sensoriale
tra aspettative e risultati dell’indagine artistica; l’assenza di verità pre-definite e pre-definibili -
espresse dai lavori dei cinque artisti esposti - rappresenta così l’assenza di verità certa, il luogo delle
probabilità in cui l’oggetto artistico sconfina oltre i limiti della sua fisicità, della sua contingenza
spaziale, della sua sussistenza materica, per diventare prodotto spirituale, non più vincolato alle
allusioni della forma espressiva bensì contenitore di un’idea originaria e originante che indaga la
genesi umana muovendo dalla contemporaneità, ripercorrendo a ritroso le strade delle
conoscenze per mappare, sulla linea del tempo, le molte epoche assiali vissute e porre in relazione
ciò che l’uomo è con ciò che l’uomo è stato e pervenire a nuove analogie dell’essere.
Performance
venerdì 29 gennaio 2016, dalle ore 21
venerdì 29 gennaio 2016, dalle ore 21
OMAGGIO/OLTRAGGIO 2 - performance di Adolfina De
Stefani
Con la collaborazione di Anastasia Moro, Martina Pasqualetto,
Antonello Mantovani, Donato Ceron, Gian Paolo Lucato, Samuela Scatto, Agustina
Pellegrini, Elisabetta Pesavento.
Verrà rappresentata e ridiscussa un’ ICONA della storia
dell’arte: LA GIOCONDA.
L’artista e performer Anastasia Moro, simile nei tratti del
volto alla donna ritratta da Leonardo Da Vinci, rappresenterà il tableau vivant sul
quale i performer interverranno realizzando, attraverso intense e brevi azioni,
alcune interpretazioni di carattere artistico.
Unica icona riconoscibile e riconosciuta nel
percorso espositivo della collettiva OGNI STRADA E’ UN RITORNO, (la cui valenza
artistica è invece incentrata su forme estreme di iconoclastia) la Gioconda
diventerà il pretesto e il territorio dell’azione dei numerosi performer per
ragionare sul cambiamento di identità e sull’analisi delle definizioni
dell’apparenza, ridiscutendo il valore stesso dell’icona, della sua definizione
e decodificazione come contenitore assoluto di saperi eterni e immutabili,
giocando con travestimenti alla ricerca di differenti, inattese e nuove entità.
Creando ritratti diversi e possibili
(improntati a nuove quanto necessarie forme interpretative) che coesistono
nella personalità di ciascuno di noi, verrà affrontato il tema del doppio,
della comunicazione di massa e dell’idea della propria individualità (carattere
proprio del genere della ritrattistica) in rapporto ai ruoli sociali conferiti
a ciascun individuo dalla contemporaneità.