sabato 17 febbraio 2018

LUCE E COLORE di Franco Cimitan

“Lo sguardo di Franco Cimitan, prima ancora di ricercare la visione pittorica dell’insieme, individua spunti emozionali e introspettivi, traduce stati dell’essere, orientandosi alla resa di una Natura vibrante e dinamica nella quale coesistono spunti irrazionali, attimi di inquietudine, principi sconosciuti e misteriosi, codici universali e criptati di una realtà fenomenica la cui esistenza mutevole sembra trarre spunto dall’estemporaneità delle nostre primitive espressioni sensoriali.
Pur partendo da impostazioni classicistiche ed accademiche l’artista abbandona repentinamente il solco della bellezza e della veridicità per decostruire l’immagine, per perdersi all’interno di spazi e atmosfere in cui domina lo smarrimento e lo stupore proprio della pratica artistica ottocentesca; sopraffatta la forma dai vapori di colore e di luce, ogni dettaglio contribuisce all’esaltazione del pathos e della veemenza degli elementi fisi- ci, evidenziando una concezione panteistica del mondo terreno, un’intromissione divina presente in ogni dettaglio e opportunamente sottolineata da ciascuna singola azione del pennello.
Tutto appare al contempo frammentato e unitario negli gli sbalzi atmosferici, nelle evocazioni parossistiche di tempeste e cieli cupi carichi di pioggia e nelle improvvise lumeggiature che, nascoste dalle nubi, annunciano un probabile, sereno futuro; gli stati d’animo sono così celebrati da metaforiche situazioni ambientali, cangianti come l’animo umano, imprevedibili e inattese come gli esisti delle nostre parabole esistenziali; da estetica della luce perciò questa pittura si riscopre metafisica della luce, emanazione di una potenza superiore a quella umana, di una scintilla creazionista che ci sovrasta e ci condiziona.
La dialettica dei contrari che regge queste complesse strutture cosmogoniche in cui gli elementi coesistono, sebbene in eterna tensione, ridiscute continuamente l’armoniosa stabilità della natura e del panta rei, l’idea cioè che tutto sia parte integrante di un fluido in lento e costante scorrimento, tendendo ad un punto di equi- librio e di reciproca tolleranza nella composizione finita, come se le inquietudini dovessero prima o poi, sulla tela così come nella psiche umana, individuare lo stato ideale dell’esistenza.
Le inquietudini di Franco Cimitan affascinano per il gusto del terribile e dello spaventevole, dell’imminente nubifragio stemperato però dall’ottimismo positivista espresso dalle quinte degli sfondi e dei piani secondari che, più calde e sature, consolidano i toni e riequilibrano la tavolozza, raffigurando un iter esistenziale in cui le specifiche essenze degli opposti sfuma- no le une nelle altre, fondendosi nelle velature verso un risultato tonale ultimo - di cera o di resina - che uniforma il tutto e pacifica gli estremi.
Di queste potenziali bufere, prossime alla loro epifania pittorica, siamo ipnotizzati spettatori; soli di fronte ai mari di nebbia, ai mari di acqua, ai mari di nubi e vapori pronti a travolgerci, prigionieri di un mondo nei confronti del quale – proprio come ci ricordano gli stretti e limi- tanti lembi di terra che chiudono i lavori di Franco dal basso delle composizioni e rappresentano l’unico appiglio alla razionalità – siamo sempre e comunque infinitamente piccoli ma con il quale instaurare dialoghi sostanziali, attimi di simbiosi in cui uomo ed elementi naturali possono coesistere allo svolgimento e alla realizzazione di un progetto unico e irripetibile che è la vita stessa.
Acqua, terra, fuoco, aria; il pensiero non si dissocia dalla materia e lo spirituale che alberga negli elementi ne diventa parte integrante e imprescindibile, come il pigmento ancorato alla tela e come le iperboli cromatiche che sono vere e proprie intuizioni astratte ed infor- mali nel mondo delle certezze formali, conclamate e consuete; le stesse forme che sconfi- nano nel simbolo e conferiscono a questi lavori valori universali, scissi dalla contingenza della sostanza terrena.
Una pittura istintiva dunque, risolta spesso con stracci oltre che con pennelli, togliendo o aggiungendo vigorosi accumuli di pigmento, nebulosa e informe nel segno aggrovigliato, nei lunghi e profondi piani prospettici privi di punti di appiglio o di linee costruttive, nella tavolozza scurita e tendente ad evidenziare pochi ma significativi elementi di un mondo autoreferenziale e privo della componente umana, sempre esterna agli accadimenti.
I richiami ad un sentire proto-romantico, rafforzato da magnifiche e latenti eloquenze  tiepolesche, evidenziano inoltre le paure ancestrali dettate da un Universo inafferrabile; il coinvolgimento sensoriale ad un pensiero non più sedotto da arcaici canoni di bellezza quanto piuttosto governato dalle teorie del sublime (senza tuttavia prescindere dal suo intento estetizzante), immediato e compartecipato, rende più credibili e vere queste visioni emotive, ammantandole di un’autenticità sconosciuta a qualsiasi visione puramente mimetica e tramutano le stesse paure in presa di coscienza della forza dell’essere umano.
Le sicure prospettive cromatiche, la precisa orchestrazione dei chiari e degli scuri, l’intromis- sione graduale verso profondità inattese in questi grandi spazi che sembrano distrattamen- te costruirsi nelle direttive centrifughe suggerite dal magma del colore, esprimono inoltre il tentativo dell’artista di creare realtà fortemente fisiche, di non sacrificare l’azione all’astra- zione di un pensiero puramente sovrannaturale e speculativo, restando altresì ben radicato alla grande tradizione del paesaggio e della veduta naturale”.
                                                                                                                                                Gaetano Salerno


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